Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

mercoledì 27 agosto 2014

Anania, una famiglia con 16 figli (Contributi 981)

Riporto  da Tempi un'intervista che riporta l'esperienza di una famiglia MOLTO numerosa. Credo possa essere utile che venga conosciuta.


L’ultima volta che la cicogna è passata dalla famiglia Anania, per via Fleres a Catanzaro, è stata l’anno scorso, il 29 giugno, quando ha portato Paola: la sedicesima figlia della famiglia più numerosa d’Italia. Oltre a Paola, Rita e Aurelio sono genitori, nell’ordine, di Marta, 19 anni, Priscilla, 18, Luca, 17, Maria, 16, Giacomo 15, Lucia, 14, Felicita, 12, Giuditta, 11, Elia 10, Beatrice, 9, Benedetta 8, Giovanni 6, Salvatore, 5, Bruno, 4 e Domitilla, 3. Quasi un figlio all’anno, persino in tempi di recessione economica. Al rientro delle vacanze, Aurelio continua a ripetere, con la sua voce pacata e quasi divertita, dello stupore che suscitano gli Anania: «Non siamo anormali, né straordinari. Dico sempre che noi siamo una famiglia straordinariamente normale».

Scusi Aurelio, ma la domanda è quasi d’obbligo. Chi ve l’ha fatto fare? Sedici figli sono tantissimi.
Noi abbiamo solo risposto alla chiamata del Signore. Siamo cattolici e quando ci siamo sposati con mia moglie Rita non abbiamo fissato un numero. Non è che avessimo pensato di fare 16 figli o 20. Abbiamo deciso solo di fare la volontà di Dio, che poi si è tradotta in questa apertura alla vita. Ma non è che siamo straordinari. Io dico sempre che noi siamo una famiglia straordinariamente normale. Nel fare la volontà di Dio c’è anche la paura, il timore o la preoccupazione di non farcela. Ma c’è anche la fede che Dio provvede sempre. Guardi, prevengo le obiezioni: la nostra non è ignoranza, non siamo incoscienti. Siamo perfettamente consapevoli di quello che avviene e sappiamo che sempre Dio ci tiene per mano. Le posso anticipare una sua domanda?

Prego.
Sicuramente si chiederà com’è che non ci siamo fermati prima, o se abbiamo intenzione di farlo. No, non ci siamo mai fermati. È difficile spiegare come si fa ad arrivare a 16 figli. Qualcuno potrebbe pensare che siamo dei cattolici esaltati. Ma non è così. Siamo solo cattolici che vogliono fare la volontà di Dio, e questo può passare anche dall’avere una famiglia numerosa. Anzi, la più grande d’Italia. Ma non ci fermeremo. Il regista di questa storia è Dio, noi siamo solo degli attori e facciamo la nostra parte, seguendo le “direttive” che ci giungono tramite i fatti della vita quotidiana.

Chi di voi lavora in famiglia?
Solo io, lavoro all’accademia di Belle arti di Catanzaro, sono coaudiatore. Quello che una volta si chiamava “bidello”.

Quanto guadagna?
Lo stipendio che ho preso oggi per il mese di agosto, comprensivo degli assegni familiari che spettano a chi ha dei figli, è di 3.500 euro.

Che facendo un rapido calcolo fanno meno di duecento euro a testa per tutto il mese. Come fate a vivere? Vi aiuta qualcuno?
La Provvidenza. Ripeto che non si tratta di essere bravi. Certo, stiamo attenti ai conti, e cerchiamo di fare la spesa al supermercato seguendo tutte le offerte. Ma siamo contenti della vita che facciamo. Vivo di Provvidenza, e questo significa che ogni volta che ci sono state delle necessità, il Signore si è presentato e ci ha aiutato.

Per esempio?
Quando abbiamo dovuto comprare i libri scolastici per i ragazzi, abbiamo trovato tra i librai sempre persone che ci conoscevano e che sapendo che in quel momento non potevamo pagare, ci hanno fatto la cortesia di farci acquistare “a rate”, poco per volta. E noi puntualmente abbiamo sempre pagato. La Provvidenza non è trovare migliaia di euro ma solo il necessario a sopravvivere. Io non sono abituato a chiedere nulla agli altri, né a pretendere. Però quando abbiamo avuto bisogno, è sempre accaduto un fatto che ci rispondeva. Le racconto un altro episodio. Una sera non avevamo nulla da mangiare. All’improvviso ha chiamato un amico che era andato dal macellaio, dicendomi: “Senti non so perché, ma mi sei venuto in mente e ho preso della carne per te. Non è che ti offendi, se ti faccio questo regalo?”. Quando è arrivato in casa era stupito che proprio quel giorno avessimo bisogno, e gli ho risposto: “Vedi, non mi sono offeso. Tu sei stato la risposta del Signore che per stasera ha provveduto al nostro bisogno”. Il mio amico ci ha portato solo la carne per quel giorno, non per i successivi venti, ma non bisogna preoccuparsi. È come quando il Signore ha mandato la manna del cielo agli ebrei nel deserto: l’ha mandata poco per volta, giorno dopo giorno. Secondo me, noi cristiani dovremmo recitare ogni giorno il salmo 94. “Se oggi ascolti la mia voce non indurire il tuo cuore”. Ad ogni giorno basta la sua pena.

La maggior parte dei suoi figli è adolescente, quindi è lecito supporre che qualcuno di loro le avrà chiesto un vestito di marca, un motorino o il cellulare all’ultimo grido. Come fate?
Certo che mi chiedono queste cose. È semplice. Abbiamo educato i più grandi come i più piccoli a non pretendere nulla, e che la cosa più importante è la fede. Ciò non toglie che ci siano anche i capricci, è normale. La mia seconda figlia ha compiuto 18 anni e ha ricevuto un paio di scarpe costose in regalo. Così anche le altre figlie mi hanno chiesto delle scarpe di marca, e io ho fatto loro un discorso. “Qual è la differenza tra un paio di scarpe di 250 euro e un altro di buona qualità? Le scarpe servono a camminare senza farsi male, e a non bagnarsi. Perciò un paio vale l’altro”. Con mia moglie abbiamo sempre cercato di spiegare loro che la vanità non serve a nulla. A che serve acquistare il modello di cellulare più costoso, se tanto la funzione di tutti i cellulari è chiamare?

Lapalissiano.
Non è questione di povertà, ma di avere il senso dell’utilità delle cose. Detto questo, la Provvidenza ci accompagna anche nelle cose futili. Questo è il quindicesimo anno che andiamo in vacanza al mare e abbiamo trovato una casa adatta a tutti noi, grazie ad un nostro amico che ce l’ha affittata ad un prezzo ragionevole. L’anno prossimo vedremo.

Lei vive in una zona del meridione dove la disoccupazione raggiunge proporzioni impietose. Cosa le dicono i suoi amici, quando lei parla con loro di Provvidenza?
Qui si lamentano tutti. Ma la lamentela è normale. E io non è che mi lamento perché sono anormale. È che non ho nulla da lamentarmi. Io ho 46 anni, una che mi è stata data da Signore, anche con difficoltà. Ma su questo pianeta non sono solo, c’è Gesù Cristo. Una volta un mio amico è sbottato: “Con questa crisi, se tutti la pensassero come te, saremmo tutti felici”. Gli ho risposto che non è utopia. È una vita possibile. Il Papa in questi giorni ha vissuto un lutto e per me è stato d’esempio. Non ho visto una persona disperata, che si è lacerata le vesti per aver perso i propri cari in un tragico e improvviso incidente. Ha mantenuto la sua fede e ringraziato con la preghiera Dio. Chi è un uomo di fede sa che l’esperienza su questa terra finisce, ma c’è un salmo che dice “Signore, insegnami a contare i miei giorni e arriverò alla pienezza del cuore”. Chi si preoccupa o si lamenta non vive contando i suoi giorni o guardando alla pienezza del cuore. Se si pensa solo a fare i soldi, e si ama i soldi su tutto, è normale che poi non si abbia più rispetto per nessuno. Io non ho bisogno di una casa di 500 metri per essere felice. Preferisco il Paradiso.

Come è organizzata la vita quotidiana in casa?
Ci aiutiamo tutti, e fin da quando i bimbi sono piccoli. I figli più grandi pensano ai più piccoli, si occupano di lavarli e vestirli al mattino prima di uscire, o alla sera. Facciamo i turni per apparecchiare, sparecchiare, pulire. Per ora studiano tutti, la grande si è appena iscritta a giurisprudenza. Fanno il loro dovere, ma non sono gelosi degli altri fratelli.

Beato lei, verrebbe da dire.
Non siamo stati bravi noi. Si comportano così non perché sono anormali, ma perché sono stati educati a valori della vita che possiamo racchiudere nella parola “fede”, e che concretamente significa essere coraggiosi, fiduciosi, generosi. L’altro giorno ero in auto con mio figlio Bruno, 4 anni, fermi al semaforo. C’era un lavavetri che chiedeva l’elemosina, ma io ero assorto in altri pensieri e non ci avevo fatto caso. Mio figlio Bruno mi ha richiamato: “Papà, ma non vedi che c’è uno che ha più bisogno di noi? Dagli dei soldi!”. Avevo pochi euro ma glieli ho dati subito con gioia, e mi sono complimentato con lui: Bruno aveva dimostrato di aver recepito l’educazione che gli abbiamo dato.

lunedì 25 agosto 2014

Domenica 21^ t. ord. "A" 24-8-2014 (Angelus 207)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di questa domenica (Mt 16,13-20) è il celebre passo, centrale nel racconto di Matteo, in cui Simone, a nome dei Dodici, professa la sua fede in Gesù come «il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; e Gesù chiama «beato» Simone per questa sua fede, riconoscendo in essa un dono speciale del Padre, e gli dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa».
Fermiamoci un momento proprio su questo punto, sul fatto che Gesù attribuisce a Simone questo nuovo nome: “Pietro”, che nella lingua di Gesù suona “Kefa”, una parola che significa “roccia”. Nella Bibbia questo termine, “roccia”, è riferito a Dio. Gesù lo attribuisce a Simone non per le sue qualità o i suoi meriti umani, ma per la sua fede genuina e salda, che gli viene dall’alto. 
Gesù sente nel suo cuore una grande gioia, perché riconosce in Simone la mano del Padre, l’azione dello Spirito Santo. Riconosce che Dio Padre ha dato a Simone una fede “affidabile”, sulla quale Lui, Gesù, potrà costruire la sua Chiesa, cioè la sua comunità, cioè tutti noi. Gesù ha in animo di dare vita alla “sua” Chiesa, un popolo fondato non più sulla discendenza, ma sulla  fede, vale a dire sul rapporto con Lui stesso, un rapporto di amore e di fiducia. Il nostro rapporto con Gesù costruisce la Chiesa. E dunque per iniziare la sua Chiesa Gesù ha bisogno di trovare nei discepoli una fede solida, una fede “affidabile”. È questo che Lui deve verificare a questo punto del cammino. 
Il Signore ha in mente l’immagine del costruire, l’immagine della comunità come un edificio. Ecco perché, quando sente la professione di fede schietta di Simone, lo chiama “roccia”, e manifesta l’intenzione di costruire la sua Chiesa sopra questa fede.
Fratelli e sorelle, ciò che è avvenuto in modo unico in san Pietro, avviene anche in ogni cristiano che matura una sincera fede in Gesù il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Il Vangelo di oggi interpella anche ognuno di noi. Come va la tua fede? Ognuno dia la risposta nel proprio cuore. Come va la tua fede? Come trova il Signore i nostri cuori? Un cuore saldo come la pietra o un cuore sabbioso, cioè dubbioso, diffidente, incredulo? Ci farà bene nella giornata di oggi pensare a questo. Se il Signore trova nel nostro cuore una fede non dico perfetta, ma sincera, genuina, allora Lui vede anche in noi delle pietre vive con cui costruire la sua comunità. Di questa comunità, la pietra fondamentale è Cristo, pietra angolare e unica. Da parte sua, Pietro è pietra, in quanto fondamento visibile dell’unità della Chiesa; ma ogni battezzato è chiamato ad offrire a Gesù la propria fede, povera ma sincera, perché Lui possa continuare a costruire la sua Chiesa, oggi, in ogni parte del mondo.
Anche ai nostri giorni tanta gente pensa che Gesù sia un grande profeta, un maestro di sapienza, un modello di giustizia… E anche oggi Gesù domanda ai suoi discepoli, cioè a noi tutti: «Ma voi, chi dite che io sia?». Che cosa risponderemo? Pensiamoci. Ma soprattutto preghiamo Dio Padre, per intercessione della Vergine Maria; preghiamolo che ci doni la grazia di rispondere, con cuore sincero: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Questa è una confessione di fede, questo è proprio “il credo”. Ripetiamolo insieme per tre volte: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,
il mio pensiero oggi va in modo particolare all’amata terra d’Ucraina, di cui ricorre oggi la festa nazionale, a tutti i suoi figli e figlie, ai loro aneliti di pace e serenità, minacciati da una situazione di tensione e di conflitto che non accenna a placarsi, generando tanta sofferenza tra la popolazione civile. Affidiamo al Signore Gesù e alla Madonna l’intera Nazione e preghiamo uniti soprattutto per le vittime, le loro famiglie e quanti soffrono. Ho ricevuto una lettera di un Vescovo che racconta tutto questo dolore. Preghiamo insieme la Madonna per questa amata terra di Ucraina nel giorno della festa nazionale: Ave Maria… Maria, Regina della pace, prega per noi!
Saluto cordialmente tutti i pellegrini romani e quelli provenienti da vari Paesi, in particolare i fedeli di Santiago de Compostela (Spagna), i bambini di Maipù (Cile), i giovani di Chiry-Ourscamp (Francia) e quanti partecipano all’incontro internazionale promosso dalla diocesi di Palestrina. 
Saluto con affetto i nuovi seminaristi del Pontificio Collegio Nord Americano, giunti a Roma per intraprendere gli studi teologici.
Saluto i seicento giovani di Bergamo, che a piedi, insieme al loro Vescovo, sono giunti a Roma da Assisi, cioè “da Francesco a Francesco”, come è scritto lì. Ma siete bravi voi bergamaschi! Ieri sera il vostro Vescovo, assieme a uno dei sacerdoti che vi accompagna, mi ha raccontato come avete vissuto questi giorni di pellegrinaggio: complimenti! Cari giovani, tornate a casa con il desiderio di testimoniare a tutti la bellezza della fede cristiana. Saluto i ragazzi di Verona, Montegrotto Terme e della Valle Liona, come pure i fedeli di Giussano e Bassano del Grappa.
Vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. Vi auguro buona domenica e buon pranzo! Arrivederci.

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martedì 19 agosto 2014

Omelia Mons. Camisasca 15-ago-2014 (Interventi 203)

Ecco l'omelia pronunciata il 15 agosto 2014, solennità dell'Assunzione della B.V. Maria al cielo, da Mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla


Cari fratelli e sorelle, durante questa celebrazione eucaristica, in unione con tutta la Chiesa diffusa nel mondo, e in particolare con le diocesi di tutt'Italia, preghiamo per i nostri fratelli, i cristiani dell’Iraq, costretti a lasciare le loro case e tutti i loro beni per fuggire di fronte a una volontà di morte che chiede loro di rinnegare la fede in cambio della vita. Allo stesso modo preghiamo per tutti coloro che, pur appartenendo ad altre fedi e religioni, stanno subendo la stessa ingiustizia.
La testimonianza dei nostri fratelli ci insegna che la fede è il bene più prezioso che abbiamo. Essa illumina la nostra vita e la riempie di significato. Ci rende anche capaci di portare il peso della sofferenza e del dolore. Nello stesso tempo le vicende terribili dell’Iraq, ricordandoci il numero impressionante di martiri di questo inizio di millennio, ci invitano a chiedere che la libertà religiosa sia il fondamento della convivenza civile in ogni Paese. Esprimiamo dunque nella preghiera la comunione profonda con i nostri fratelli perseguitati e chiediamo a Maria Assunta di proteggerli nel loro difficile cammino.
Cosa vuole insegnare alla nostra vita quotidiana la festa di oggi? Quale dono vuol fare la Chiesa a noi con la solennità dell’Assunzione di Maria? Qualcuno potrebbe pensare che una celebrazione dedicata a guardare Colei che sale in cielo in anima e corpo, sottraendosi allo sguardo dei presenti, ci inviti quasi ad uscire da questa vita per trasferirci spiritualmente nella vita futura. In tutto ciò è nascosta una grande tentazione che anche molte filosofie hanno vissuto. Ma Cristo non ci invita a uscire da questa vita prima del tempo. Egli stesso ha detto, poco prima di lasciarci, rivolgendosi al Padre: non voglio che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal male (cfr. Gv 17,15).
La vita cristiana non è un oppio che ci fa dimenticare le responsabilità e i problemi dell’esistenza. All’opposto, Gesù è venuto proprio per portarci una luce, per essere lui stesso la luce che illumina la vita degli uomini. Per aiutarci a distinguere il bene dal male. Per indicarci le strade onde operare delle scelte giuste e fruttuose. Egli è venuto per cambiare il nostro cuore e per donarci la forza di compiere il bene. Ci aiuta ad estirpare le radici di male e opera attraverso di noi, per quanto possibile alla nostra fragilità umana, azioni giuste e sante.
Nello stesso tempo l’invito a guardare in alto contiene una verità, che è espressa anche con la preghiera con cui abbiamo iniziato questa Messa: «Fa’ che viviamo in questo mondo costantemente rivolti ai beni eterni». Cosa sono questi beni eterni se non la persona stessa di Gesù? Come Maria, allora, dobbiamo imparare a vivere le responsabilità e le circostanze della vita quotidiana guardando a suo Figlio. Come Maria siamo chiamati a trattenere nel nostro cuore le parole che Dio ci rivolge perché esse ci aprano il senso di ciò che accade.
Nella sua parola Dio non soltanto rivela la sua sapienza, ma dona se stesso. Come per Maria la parola di Dio era quel bambino o quel ragazzo che viveva nella sua casa, così anche per noi la Parola si è fatta carne ed abita in mezzo a noi, si è resa presente nella nostra vita in mille modi e ci invita a diventare testimoni della carità presso gli uomini e le donne del nostro tempo come ha fatto Maria.
Il vangelo che abbiamo appena ascoltato ci parla della Madonna che non ha avuto paura, subito dopo il concepimento di Gesù, di iniziare un lungo viaggio per andare ad aiutare la parente Elisabetta, rimasta incinta in tarda età e con una gravidanza difficile. Maria ha percorso molti chilometri per portare Gesù. Tutte le preoccupazioni di quel momento, i discorsi della gente, la comprensibile ansia per quello che avrebbe pensato Giuseppe, tutto passa in secondo piano e diventa un inno di lode a Dio.
Ecco che cosa vuol dire avere lo sguardo rivolto verso l’alto: saper leggere in profondità ciò che accade. Restare umili. Imparare a vedere ciò che Dio opera. Imparare la lode e l’esultanza. Facciamoci tutti discepoli come Maria. Ella ha saputo custodire nel silenzio le verità più grandi e i momenti più drammatici della sua vita. Non ha preteso di capire subito tutto, ma ha accettato di percorrere fino in fondo l’itinerario che il Padre aveva scelto per suo Figlio e per lei. Ed è stata così ricolmata di gioia e di gloria.
Sosteniamoci a vicenda, aiutiamoci perché anche nel nostro cuore nascano gli stessi sentimenti, nella nostra mente gli stessi pensieri che hanno abitato nella mente e nel cuore di Maria. Il Signore ci aiuta nel cammino, spesso difficile, della vita. Portiamo questo aiuto ai fratelli (cfr. 2Cor 1,4)! Quando si accende dentro di noi il fuoco dell’incarnazione, quando conosciamo che Dio si è fatto uomo per raccoglierci dal nostro male, diventiamo desiderosi di essere noi stessi fuoco che illumina e riscalda la vita degli altri uomini, donando generosamente quello che abbiamo ricevuto. Amen.
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domenica 17 agosto 2014

Assunzione Maria Vergine 15-8-2014 (Angelus 206)

Cari fratelli e sorelle,
al termine della Santa Messa, ci rivolgiamo ancora una volta alla Madonna, Regina del Cielo. A Lei offriamo le nostre gioie, i nostri dolori e le nostre speranze. Affidiamo a Lei in modo particolare tutti coloro che hanno perso la vita nell’affondamento del traghetto “Se Wol”, come anche quanti tuttora soffrono le conseguenze di questo grande disastro nazionale. Il Signore accolga i defunti nella sua pace, consoli coloro che piangono, e continui a sostenere quanti così generosamente sono venuti in aiuto dei loro fratelli e sorelle. Questo tragico evento, che ha unito tutti i Coreani nel dolore, confermi il loro impegno a collaborare insieme, solidali, per il bene comune.
Chiediamo altresì alla Vergine Maria di posare il suo sguardo misericordioso su quanti tra noi si trovano nella sofferenza, particolarmente sui malati, sui poveri e su chi è privo di un lavoro dignitoso.
Infine, nel giorno in cui la Corea celebra la sua liberazione, chiediamo alla Madonna di vegliare su questa nobile nazione ed i suoi cittadini. Affidiamo alla sua protezione tutti i giovani che si sono radunati qui da tutta l’Asia. Possano essere araldi gioiosi dell’alba di un mondo di pace, secondo il disegno benedetto di Dio!
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Assunta, preghiera di conversione (Contributi 980)

Ecco un articolo di Sr Gloria Riva da La Bussola 

È così affollata la scena del Carracci in Santa Maria del Popolo che la vergine Assunta voluta dal Cerasi sembra faticosamente guadagnarsi l’ascesa vero il Cielo. I discepoli la vorrebbero trattenere: gli sguardi, le mani i volti tutto si protende verso di lei, mentre lei leva le mani al Padre. 
Sì, la Vergine lascia la terra, gli occhi sono già puntati verso la meta che l’attende, ma le braccia aperte come in croce, le braccia che disegnano il medesimo destino subito dal Figlio, indicano già il modo con il quale ella vorrà stare lassù, nei Cieli. Maria intercede. Sta in mezzo. Rimane fra noi e Dio. Forse per questo il Carracci non ci permette di vedere nulla se non la tomba e il cielo. Tutto il resto della tela è ingombro degli apostoli sgomenti, della Vergine e degli angeli. 
Viene alla mente la preghiera chiesta dai vescovi della CEI per il 15 agosto 2014. Potrebbe essere quest’opera l’icona per la straordinaria giornata di preghiera. La Madonna a braccia levate che tenta di legare in un abbraccio il dolore della tomba e la beatitudine del cielo. 
Qui gli apostoli sono sgomenti perché stanno per perdere una tra le più preziose reliquie del Cristo, anzi forse la reliquia per antonomasia: la sua vergine Madre. Eppure Pietro e Paolo, in primo piano, mentre guardano alla Madre che ascende, sono come spinti all’esterno della tela, sono spinti fuori, in missione. La preghiera e la missione, la contemplazione e l’azione sono due poli irrinunciabili dell’essere cristiano: furono quelli di Cristo e di Maria, siano anche i nostri. La famosa frase: «Soltanto chi grida per gli Ebrei può cantare anche il gregoriano» di Dietrich Bonhoeffer sembra una profezia dei nostri giorni. Sì, guardiamo verso il cielo, gridiamo verso il cielo con i nostri canti, con le nostre preghiere, ma non dimentichiamo di gridare il nostro sdegno per quelli che non hanno voce. 
Ciò che colpisce della cappella Cerasi è che Michelangelo Merisi, peraltro in competizione con il Carracci proprio per le pitture della cappella, tenne in gran conto l’apertura della braccia di Maria. Proprio ai lati dell’opera di Annibale, Caravaggio dipinse gli apostoli Pietro e Paolo, in due momenti supremi della loro vita: il martirio per il primo e la conversione per il secondo. Entrambi, pur in situazioni diverse, stanno a braccia aperte come la Vergine e volgono i loro occhi a quel Cielo che accoglierà la loro preghiera e il loro sacrificio. 
Il martirio di Paolo incominciò proprio quel giorno sulla via di Damasco quando, incontrando Cristo, comprese che non poteva più tacere la verità scomoda di quell'incontro. Per lui gridare a favore dei cristiani fu come per Bonhoeffer, tanti secoli più tardi, gridare a favore degli ebrei. Gli costò la separazione dai suoi correligionari e successivamente il martirio. Così il primo degli apostoli, proprio per la sua predicazione e per quella parresia che imparò dalla vita e dalla sequela di Cristo, sperimentò la persecuzione e il martirio. 
Che questa giornata di preghiera sia per noi lo stare sotto questo Cielo, il Cielo di Maria che dipinge il Carracci. Come Maria imploriamo la grazia di una rinnovata presa di coscienza: molti ancora muoiono per il Signore Gesù mentre noi gettiamo via, senza imbarazzo né rimorso, verità e radici per i quali molti dei nostri padri diedero la vita. Come Pietro e come Paolo. Sì, cessi il martirio cruento per i nostri fratelli, ma cessi anche per noi il martirio bianco dell’indifferenza e della codardia. 
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Zona pericolosa (Interventi 202)

(1 Tessalonicesi 5, 9)


Non è mai piacevole sentire suonare un allarme ma, ammettiamolo, molti campanelli di allarme ci sono amici. La suoneria della sveglia al mattino - se non ci fosse perderesti il lavoro. L'allarme anti-incendio quando c'è del fumo o del gas in una stanza. Nessuno
di noi di solito va in giro con suonerie di allarme addosso. Ma in alcune case di riposo hanno escogitato un sistema. A volte ospitano anziani afflitti da una grave perdita di memoria e totale disorientamento. Così se per caso trovano una porta aperta escono dall'edificio e girovagano per la città, non sapendo né chi sono né dove stanno andando - comprese le strade trafficate! A queste persone la casa di riposo fa loro indossare uno speciale braccialetto che fa scattare un allarme quando stanno varcando la porta di uscita dell'edificio - in questo modo il personale li blocca prima che possano cadere nei
pericoli. Quell'allarme può salvare le loro vite.
Quando ti muovi in un'area pericolosa di solito non te ne accorgi, allora è bene avere con se qualche allarme che scatta. Ed è importante prestare ascolto agli allarmi. Il Signore ti ha dotato di un sistema di allarme che si chiama Spirito Santo. Ti è stato donato - e chi te l'ha pagato è stato il sangue di Gesù. Gesù dice che lo Spirito Santo «convincerà il mondo quanto al peccato» (Gv 16, 8). Allora, una delle attività dello Spirito è quella di far scattare l'allarme quando entri in un'area spiritualmente a rischio. Un pericolo che magari neanche avverti, ma che ti può danneggiare gravemente.
Dio ti dice una cosa molto importante in 1 Tessalonicesi 5, 19. Quattro parole: «Non spegnete lo Spirito». E continua dicendo: «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono». Quando lo Spirito Santo parla alla tua coscienza, non ignorarlo. Non spegnere la sua
fiamma dentro di te. Non ignorare il suo campanello di allarme che ti avvisa che stai oltrepassando la porta.
Lo Spirito Santo è in azione dentro il tuo cuore, la tua mente e la tua coscienza lungo tutto l'arco della tua giornata, facendoti percepire cosa Dio pensa a riguardo delle cose che stai dicendo, di quelle che stai guardando, di ciò che stai ascoltando, su come stai trattando il Suo tempio (il tuo corpo), di quello che stai pensando, su quanto stai fantasticando, sulle ragioni che stanno alla base delle tue azioni. E quando stai oltrepassando i limiti, Lui mette in azione l'allarme - ti fa aprire gli occhi su quanto stai facendo, o magari ti fa sentire il rimorso per quanto hai fatto. Il quieto allarme di Dio che ti dice: "Stai oltrepassando la porta. Non te ne rendi conto, ma stai entrando in un'area pericolosa".
Vedi, lo Spirito Santo sa molto bene dove ti porteranno le scelte che stai facendo. Come gli anziani disorientati, il posto dove vuoi andare sembra bello e senza pericoli. Ma Dio sa bene che ti porterà invece su una strada molto trafficata e pericolosa - ma quando finisci per accorgertene, probabilmente non sei più capace di uscirne. Nessun peccato rimane isolato. Il primo compromesso magari è difficile, ma raramente ci si ferma lì. Il prossimo peccato sarà sempre un po' più facile, fino al giorno in cui ti troverai a fare quello che non
avresti mai pensato di poter fare, di essere diventato quello che non avresti immaginato di diventare.
Forse recentemente hai smesso di sentire il campanello di allarme di Dio, che ti mette in guardia dal vivere nella menzogna. O che ti fa sentire pieno di vergogna e a disagio su ciò che stai guardando o ascoltando. Forse ti sta mettendo in guardia su certi comportamenti
che recentemente stai avendo in famiglia. Magari il campanello di allarme dello Spirito Santo sta cercando di farti uscire da quella relazione sbagliata, quel rapporto pericoloso, da quella rabbia e amarezza che sta crescendo in te.
L'allarme di Dio è chiaro - non spegnere lo Spirito. Ascolta il Suo campanello di allarme. Tu non sai i pericoli che ci sono davanti a te. Lui sì. Non oltrepassare quella porta e torna indietro. Ti porterà dove non vorresti mai trovarti. Stai entrando in una zona pericolosa.
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto
don Luciano

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martedì 12 agosto 2014

Chiudere i varchi (Interventi 201)

(Neemia 4, 6-7) 
Agli inizi dell'attività coi ragazzi di strada al Boys Ranch, in Kenya, avevamo le pecore e le mucche che pascolavano nel campo sportivo, a pochi metri dai campi di verdure. Bastava una piccola distrazione e subito trovavamo gli animali tra gli ortaggi. Allora abbiamo messo una rete di recinzione tra il campo sportivo e il grande orto, ma i ragazzi per recuperare il pallone finito in mezzo all'orto, per evitare di fare il giro della lunga recinzione, avevano aperto un varco nella rete. Col risultato che ogni minima distrazione era fatale - gli animali avevano scovato quel varco e finivano sempre per trovarsi dove non dovevano assolutamente esserci. Fino a quando non abbiamo chiuso anche quel varco.
Non sono soltanto le mucche e le pecore ad approfittare dei passaggi che apriamo nella recinzione. Lo usa anche il leone - quello che la Bibbia descrive così: «Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare» (1 Pietro 5, 8). Il diavolo, purtroppo. E puoi essere certo che il distruttore sta andando in giro ruggendo intorno alla tua vita, alla tua famiglia, al gruppo o alla comunità a cui appartieni, cercando un buco nella recinzione - un passaggio che gli permetta di andare dove non gli dovrebbe mai essere concesso di andare. 
La Bibbia ti da un breve ed efficace insegnamento su come cacciarlo via. Sta scritto in Neemia 4, 1 e seguenti, soprattutto i versetti 6-7. Quel libro della Bibbia è il racconto affascinante di Neemia su come un piccolo gruppo di Ebrei riuscì a ricostruire in 52 giorni le mura e le porte di una Gerusalemme distrutta - nonostante fossero per tutto il tempo circondati da avversari che cercavano di ostacolarli. E viene narrata una delle decisioni fondamentali che presero per stroncare gli attacchi del nemico - una decisione che forse devi prendere anche tu per tagliar fuori il nemico della tua anima. 
La Bibbia in Neemia 4, 1-2 dice: «Ma quando Sanballàt, Tobia, gli Arabi, gli Ammoniti e gli Asdoditi [guarda un po' quanta gente contro di te!] seppero che la riparazione delle mura di Gerusalemme progrediva e che le brecce cominciavano a chiudersi, si adirarono molto e tutti assieme congiurarono di venire ad attaccare Gerusalemme e crearvi confusione». Lo credo bene! Quei varchi nelle mura erano i punti deboli che essi potevano usare per andare dove non avrebbero mai dovuto. 
Cosa fece Neemia? - «Allora noi pregammo il nostro Dio e contro di loro mettemmo sentinelle di giorno e di notte per difenderci dai loro attacchi... Io, nelle parti sottostanti a ciascun posto oltre le mura, in luoghi scoperti, disposi il popolo per famiglie, con le loro spade, le loro lance, i loro archi». Vuoi mandare via frustrato il nemico della tua anima? Chiudi quei varchi che hai aperto nella tua vita... nel tuo matrimonio... nella tua famiglia... nel tuo lavoro. Presidiali fortemente, schieraci le tue forze migliori. Perché il nemico farà di tutto per entrare attraverso quelle brecce e distruggere le cose importanti della tua vita. Non puoi continuare a trascurare quei passaggi aperti - ci sono cose troppo importanti che non puoi assolutamente perdere. «Contro di te avanza un distruttore: montare la guardia alla fortezza, sorvegliare le vie, cingerti i fianchi | raccogliere tutte le forze» (Nahum 2, 3). 
Il varco attraverso il quale il nemico sta entrando forse è la relazione col tuo coniuge o con tuo figlio che magari stai trascurando - e le erbe cattive, lo sai, crescono nei giardini trascurati. O forse è il tuo rapporto deteriorato con una persona che permette al nemico di seminare risentimento e rabbia. Il cuore indurito verso l'altro è una breccia che il nemico non trascurerà di sfruttare. O forse è l'abbassamento che ti sei concesso nei tuoi standard morali - nella tua onestà, nella tua sessualità, in quello che guardi o ascolti. Forse è un peccato che non hai mai voluto confessare... un vizio che sottovaluti... dei pensieri poco puliti che ritornano in continuazione. O semplicemente la tentazione di mollare - nelle tue relazioni, nell'impegno che ti sei preso, nel servizio che Dio ti ha chiamato a fare. 
Qualunque siano le tue brecce, sappi che il tuo nemico le ha identificate e sa dove tu sei vulnerabile, e sta programmando di usare quei varchi per entrare nel cuore della tua vita. Quando c'è un varco nella recinzione, una breccia nel muro - le porte che danno accesso alla città fortificata - quello è il tuo punto debole. Non aspettare un altro giorno a chiudere quelle porte o a presidiarle attentamente. Hai troppo da perdere. 
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto 
don Luciano
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lunedì 11 agosto 2014

La Messa non è finita Deo gratias (Contributi 979)

Ecco un articolo di Rino Cammilleri tratto da La Bussola 

Premetto che in quel che dirò non c’è alcuna vocazione polemica, perché le dispute intraecclesiali non mi appassionano. Anzi, mi infastidiscono. Sono cose di preti, nelle quali i laici, a mio avviso, meno mettono bocca e meglio è. Troppo spesso i preti si comportano come se la Chiesa fosse «cosa loro» e rispondono piccati quando li si critica. É da cinquant’anni, cioè dai tempi del Concilio, che il clero si riempie le gote del famoso «ruolo dei laici», ma poi, a conti fatti, il ruolo dei laici lo vorrebbe così: sempre in ginocchio, obbedienti e col portafogli aperto. 
Ho ormai una certa età e confesso che, quando sento parlare o leggo di dispute sul Concilio cambio canale o pagina o clicco qualcos’altro. Lo stesso dicasi per la Messa, nuovo rito, vecchio rito, rito straordinario, progressismi e tradizionalismi. Saranno gli anni, ma sono stufo da un pezzo. Quando mio nonno aveva l’età che ho io adesso e io ero un ragazzino, lui mi diceva sempre: sta’ lontano dai preti; onorali, riveriscili e salutali per strada, bacia loro la mano (allora usava) e va’ a Messa, ma non ti ci mischiare. Con sorpresa, diventato scrittore, mi accorsi che Padre Pio era dello stesso parere. Non sopportava i laici che ronzavano attorno alle tonache: allora si chiamavano «baciapile», oggi «impegnati nella pastorale». Il Santo diceva, col suo solito modo ruvido: «O dentro o fuori». Cioè: se ti piace l’ambiente entra nel clero, sennò esci di sacrestia e fai davvero il laico. 
L’esperienza è quella cosa che quando l’hai fatta è troppo tardi. Infatti, oggi so –per esperienza- che sia mio nonno (uomo religiosissimo) che Padre Pio (santo, asceta e mistico) avevano ragione. Entrambi passarono i guai loro per colpa del clero: le vicissitudini di Padre Pio sono note (rileggersi il mio libro Vita di Padre Pio, Piemme, più volte ristampato), mio nonno (che era imprenditore) uscì mezzo rovinato economicamente per essersi fidato di preti in un affare. Premesso tutto questo, vengo al dunque. 
Sono tanti anni ormai che nella mia mente la Messa domenicale è associata a un’ora di martirio di cui farei volentieri a meno. Tedio. Noia. Omelie banali e interminabili. Canzonette pop dal testo cretino. Estenuanti e retorici assilli al Padreterno terminanti con «…ascoltaci Signore». Segni di pace sudaticci. Ridicola miniprocessione per portare i «doni» all’altare. Chilometrici avvisi parrocchiali da ascoltare in piedi prima di avere la benedizione finale (dunque, abusivamente inglobati nella liturgia). Un «rendiamo grazie a Dio» che è un (mio) urlo di sollievo prima di uscire –finalmente!- a riveder le stelle. Ripeto: nessuna polemica. Trattasi solo di mie personali sensazioni. 
Ora, però, ho scoperto che nella cittadina sul Lago Maggiore in cui passo di solito l’estate c’è un prete che dice l’antica Messa. Una sola, il sabato pomeriggio. Ci sono andato, per curiosità. Già, perché quando vigeva il vecchio rito io a Messa non ci andavo proprio, perciò per me era una vera novità. Stupore: il celebrante faceva quasi tutto lui, gli astanti dovevano «rispondere» di rado. Silenzio. Il centro del tutto era il tabernacolo, non lo show del prete. Uno, in un angolo, intonava gli antichi inni in latino e –sorpresa- qualcosa mi si scioglieva dentro. Non mi accorgevo del tempo che passava, mi ritrovavo attento e concentrato come non mai, «partecipavo» davvero. Uscii ancora pervaso da un senso del sacro quale mai avevo provato prima. C’erano a disposizione dei libri per seguire la Messa, di quelli coi nastrini segnapagine rossi. Io non ci capivo granché, ma –altra sorpresa- una bengalese seduta accanto a me, colta la mia difficoltà, prese a indicarmi i passi giusti. 
Una bengalese! Il 5 agosto una lettrice romana mi ha scritto, raccontandomi della Messa a cui aveva assistito al mattino nella basilica di Santa Maria Maggiore. Ogni anno, per la ricorrenza della festa, vi si celebra solennemente in latino. Scrive la lettrice: «Mi sono trovata a cantare e a rispondere accanto a una coppia di giovani tedeschi e a due nere americane che conoscevano alla perfezione le parti della Messa in latino sia recitate che cantate; lo stesso mi capitò anni fa con dei giapponesi; è questo un modo davvero commovente di sentire e di vivere la cattolicità della Chiesa». Eggià: per «aggiornarsi» con gli anni Sessanta -del secolo scorso- la Chiesa rinunciò alla sua lingua sacra (mentre ebraismo e islamismo mantengono rigorosamente le loro). Il risultato di quello che Vittorio Messori definì in un’intervista «un golpe clericale» è che se percorro, che so, la Spagna devo assistere a Messe in catalano, castigliano, basco e via dicendo. 
Nel turista cattolico, con difficoltà avverto un fratello e la «cattolicità» di cui parlava la lettrice diventa teoria, non una sensazione palpabile. Scusate, ma siamo fatti anche di corpo. In quella chiesina sul Lago Maggiore ho visto un sacerdote che portava a Dio le preghiere del popolo che gli stava alle spalle in religioso (è il caso di dirlo) raccoglimento. Naturalmente –mi ha raccontato poi- si è inimicato il vescovo e tutti i colleghi della diocesi per via della sua ostinazione –qualificata di «lefebvriana»- a voler celebrare una (una!) Messa alla settimana secondo il motu proprio di Benedetto XVI. Tranquilli, quando finirà l’estate e tornerò in città non ho alcuna intenzione di macinare chilometri per andare a cercare una Messa di rito «straordinario» (sic!). Offrirò, come sempre, la mia pena domenicale al Signore nella solita parrocchia, a sconto dei miei peccati.
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Domenica 19^ t. ord. "A" 10-8-2014 (Angelus 205)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi ci presenta l’episodio di Gesù che cammina sulle acque del lago (cfr Mt 14,22-33). Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, Egli invita i discepoli a salire sulla barca e a precederlo all’altra riva, mentre Lui congeda la folla, e poi si ritira tutto solo a pregare sul monte fino a tarda notte. E intanto sul lago si leva una forte tempesta, e proprio in mezzo alla tempesta Gesù raggiunge la barca dei discepoli, camminando sulle acque del lago. Quando lo vedono, i discepoli si spaventano, pensano a un fantasma, ma Lui li tranquillizza: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (v. 27). Pietro, col suo tipico slancio, gli chiede quasi una prova: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque»; e Gesù gli dice «Vieni!» (vv. 28-29). Pietro scende dalla barca e si mette a camminare sulle acque; ma il vento forte lo investe e lui comincia ad affondare. Allora grida: «Signore, salvami!» (v. 30), e Gesù gli tende la mano e lo solleva.
Questo racconto è una bella icona della fede dell’apostolo Pietro. Nella voce di Gesù che gli dice: «Vieni!», lui riconosce l’eco del primo incontro sulla riva di quello stesso lago, e subito, ancora una volta, lascia la barca e va verso il Maestro. E cammina sulle acque! La risposta fiduciosa e pronta alla chiamata del Signore fa compiere sempre cose straordinarie. Ma Gesù stesso ci ha detto che noi siamo capaci di fare miracoli con la nostra fede, la fede in Lui, la fede nella sua parola, la fede nella sua voce. Invece Pietro comincia ad affondare nel momento in cui distoglie lo sguardo da Gesù e si lascia travolgere dalle avversità che lo circondano. Ma il Signore è sempre lì, e quando Pietro lo invoca, Gesù lo salva dal pericolo. Nel personaggio di Pietro, con i suoi slanci e le sue debolezze, viene descritta la nostra fede: sempre fragile e povera, inquieta e tuttavia vittoriosa, la fede del cristiano cammina incontro al Signore risorto, in mezzo alle tempeste e ai pericoli del mondo.
È molto importante anche la scena finale. «Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a Lui, dicendo: “Davvero tu sei Figlio di Dio”!» (vv. 32-33). Sulla barca ci sono tutti i discepoli, accomunati dall’esperienza della debolezza, del dubbio, della paura, della «poca fede». Ma quando su quella barca risale Gesù, il clima subito cambia: tutti si sentono uniti nella fede in Lui. Tutti piccoli e impauriti, diventano grandi nel momento in cui si buttano in ginocchio e riconoscono nel loro maestro il Figlio di Dio. Quante volte anche a noi accade lo stesso! Senza Gesù, lontani da Gesù, ci sentiamo impauriti e inadeguati al punto tale da pensare di non potercela fare. Manca la fede! Ma Gesù è sempre con noi, nascosto forse, ma presente e pronto a sostenerci.
Questa è una immagine efficace della Chiesa: una barca che deve affrontare le tempeste e talvolta sembra sul punto di essere travolta. Quello che la salva non sono le qualità e il coraggio dei suoi uomini, ma la fede, che permette di camminare anche nel buio, in mezzo alle difficoltà. La fede ci dà la sicurezza della presenza di Gesù sempre accanto, della sua mano che ci afferra per sottrarci al pericolo. Tutti noi siamo su questa barca, e qui ci sentiamo al sicuro nonostante i nostri limiti e le nostre debolezze. Siamo al sicuro soprattutto quando sappiamo metterci in ginocchio e adorare Gesù, l’unico Signore della nostra vita. A questo ci richiama sempre la nostra Madre, la Madonna. A lei ci rivolgiamo fiduciosi.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
ci lasciano increduli e sgomenti le notizie giunte dall’Iraq: migliaia di persone, tra cui tanti cristiani, cacciati dalle loro case in maniera brutale; bambini morti di sete e di fame durante la fuga; donne sequestrate; persone massacrate; violenze di ogni tipo; distruzione dappertutto; distruzione di case, di patrimoni religiosi, storici e culturali. Tutto questo offende gravemente Dio e offende gravemente l’umanità. Non si porta l’odio in nome di Dio! Non si fa la guerra in nome di Dio!  Noi tutti, pensando a questa situazione, a questa gente, facciamo silenzio adesso e preghiamo.
(silenzio)
Ringrazio coloro che, con coraggio, stanno portando soccorso a questi fratelli e sorelle, e confido che una efficace soluzione politica a livello internazionale e locale possa fermare questi crimini e ristabilire il diritto. Per meglio assicurare la mia vicinanza a quelle care popolazioni ho nominato mio Inviato Personale in Iraq il Cardinale Fernando Filoni, che domani partirà da Roma.
Anche a Gaza, dopo una tregua, è ripresa la guerra, che miete vittime innocenti, bambini… e non fa che peggiorare il conflitto tra Israeliani e Palestinesi.
Preghiamo insieme il Dio della pace, per intercessione della Vergine Maria: Dona la pace, Signore, ai nostri giorni, e rendici artefici di giustizia e di pace. Maria, Regina della Pace, prega per noi.
Preghiamo anche per le vittime del virus “ebola” e per quanti stanno lottando per fermarlo.
Saluto tutti i pellegrini e i romani, in particolare i giovani di Verona, Cazzago San Martino, Sarmeola e Mestrino, e le ragazze scout di Treviso.
Da mercoledì prossimo fino a lunedì 18 compirò un viaggio apostolico in Corea: per favore, accompagnatemi con la preghiera, ne ho bisogno! Grazie. E a tutti auguro buona domenica e buon pranzo. Arrivederci.
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giovedì 7 agosto 2014

Domenica 18^ t. ord. "A" 3-8-2014 (Angelus 204)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
In questa domenica, il Vangelo ci presenta il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 14,13-21). Gesù lo compì lungo il lago di Galilea, in un luogo isolato dove si era ritirato con i suoi discepoli dopo aver saputo della morte di Giovanni Battista. Ma tante persone li seguirono e li raggiunsero; e Gesù, vedendole, ne sentì compassione e guarì i malati fino alla sera. Allora i discepoli, preoccupati per l’ora tarda, gli suggerirono di congedare la folla perché potessero andare nei villaggi a comperarsi da mangiare. Ma Gesù, tranquillamente, rispose: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mt 14,16); e fattosi portare cinque pani e due pesci, li benedisse, e cominciò a spezzarli e a darli ai discepoli, che li distribuivano alla gente. Tutti mangiarono a sazietà e addirittura ne avanzò!
In questo avvenimento possiamo cogliere tre messaggi. Il primo è la compassione. Di fronte alla folla che lo rincorre e – per così dire – “non lo lascia in pace”, Gesù non reagisce con irritazione, non dice: “Questa gente mi dà fastidio”. No, no. Ma reagisce con un sentimento di compassione, perché sa che non lo cercano per curiosità, ma per bisogno. Ma stiamo attenti: compassione – quello che sente Gesù – non è semplicemente sentire pietà; è di più! Significa con-patire, cioè immedesimarsi nella sofferenza altrui, al punto di prenderla su di sé. Così è Gesù: soffre insieme a noi, soffre con noi, soffre per noi. E il segno di questa compassione sono le numerose guarigioni da lui operate. Gesù ci insegna ad anteporre le necessità dei poveri alle nostre. Le nostre esigenze, pur legittime, non saranno mai così urgenti come quelle dei poveri, che non hanno il necessario per vivere. Noi parliamo spesso dei poveri. Ma quando parliamo dei poveri, sentiamo che quell’uomo, quella donna, quei bambini non hanno il necessario per vivere? Che non hanno da mangiare, non hanno da vestirsi, non hanno la possibilità di medicine… Anche che i bambini non hanno la possibilità di andare a scuola. E per questo, le nostre esigenze, pur legittime, non saranno mai così urgenti come quelle dei poveri che non hanno il necessario per vivere.
Il secondo messaggio è la condivisione. Il primo è la compassione, quello che sentiva Gesù, il secondo la condivisione. È utile confrontare la reazione dei discepoli, di fronte alla gente stanca e affamata, con quella di Gesù. Sono diverse. I discepoli pensano che sia meglio congedarla, perché possa andare a procurarsi il cibo. Gesù invece dice: date loro voi stessi da mangiare. Due reazioni diverse, che riflettono due logiche opposte: i discepoli ragionano secondo il mondo, per cui ciascuno deve pensare a sé stesso; ragionano come se dicessero: “Arrangiatevi da soli”. Gesù ragiona secondo la logica di Dio, che è quella della condivisione. Quante volte noi ci voltiamo da un’altra parte pur di non vedere i fratelli bisognosi! E questo guardare da un’altra parte è un modo educato per dire, in guanti bianchi, “arrangiatevi da soli”. E questo non è di Gesù: questo è egoismo. Se avesse congedato le folle, tante persone sarebbero rimaste senza mangiare. Invece quei pochi pani e pesci, condivisi e benedetti da Dio, bastarono per tutti. E attenzione! Non è una magia, è un “segno”: un segno che invita ad avere fede in Dio, Padre provvidente, il quale non ci fa mancare il “nostro pane quotidiano”, se noi sappiamo condividerlo come fratelli.
Compassione, condivisione. E il terzo messaggio: il prodigio dei pani preannuncia l’Eucaristia. Lo si vede nel gesto di Gesù che «recitò la benedizione» (v. 19) prima di spezzare i pani e distribuirli alla gente . E’ lo stesso gesto che Gesù farà nell’Ultima Cena, quando istituirà il memoriale perpetuo del suo Sacrificio redentore. Nell’Eucaristia Gesù non dona un pane, ma il pane di vita eterna, dona Sé stesso, offrendosi al Padre per amore nostro. Ma noi dobbiamo andare all’Eucaristia con quei sentimenti di Gesù, cioè la compassione e quella volontà di condividere. Chi va all’Eucaristia senza avere compassione dei bisognosi e senza condividere, non si trova bene con Gesù.
Compassione, condivisione, Eucaristia. Questo è il cammino che Gesù ci indica in questo Vangelo. Un cammino che ci porta ad affrontare con fraternità i bisogni di questo mondo, ma che ci conduce oltre questo mondo, perché parte da Dio Padre e ritorna a Lui. La Vergine Maria, Madre della divina Provvidenza, ci accompagni in questo cammino.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
rivolgo il mio saluto a tutti voi – coraggiosi, sotto la pioggia! – fedeli di Roma e pellegrini di diversi Paesi.
Saluto la staffetta della Parrocchia Stella Maris al Lido di Latina, in collaborazione con la Gendarmeria Vaticana e la Guardia Svizzera, e benedico la fiaccola che rimarrà accesa durante il mese di agosto in segno di devozione alla Madonna.
Saluto i giovani della Parrocchia del Sacro Cuore in Pontedera, diocesi di Pisa, che sono venuti a Roma percorrendo a piedi la Via Francigena.
E saluto gli scout dell’AGESCI presenti oggi, con una benedizione per le migliaia di scout italiani in cammino verso il grande raduno nazionale a San Rossore.
Ricordatevi: compassione, condivisione, Eucaristia.
A tutti auguro una buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me! Buon pranzo e arrivederci!
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Inutili affanni (Interventi 200)

(Matteo 6, 25)
Il cammino di Santiago de Compostela inizia nel momento in cui si desidera partire. A chi non lo ha fatto è impossibile spiegarlo, per chi lo ha fatto è inutile parlarne. Uno dei fattori fondamentali è lo zaino - il cammino dipende da cosa ci metti dentro. Chi si preoccupa molto per se stesso e lo riempie di "cose-utili-che-possono-servire" difficilmente arriverà a Santiago. Basta la prima tappa del cammino francese da St.-Jean-Pied-de-Port a Roncisvalle a farti cambiare idea. Scavalcare i Pirenei carichi di
"cose-che-sono-indispensabili" vi stronca. In tutti gli ostelli, appena entri, c'è un tavolo con un cartello dove c'è scritto "Prendete quello che vi serve". È pieno di "cose-che-sono-indispensabili" lasciate dai pellegrini dei giorni precedenti: sacchi a pelo, materassini, magliette di marca, asciugamani tecnici, cuscini gonfiabili... E i pellegrini invece di
prendere... lasciano a loro volta!
Incredibile. C'è gente che vuole camminare preoccupata per le scorte di vestiti, le riserve di cibo... Lungo il cammino trovi tutto - tu devi solo cercare il sentiero - e avanti! Aspettate un attimo... tutto questo mi richiama alla mente una cosa fin troppo familiare.
Gesù, nel vangelo di Matteo 6, 25 e seguenti, parla proprio di questo eccessivo preoccuparsi e affannarsi per cose che sembrano apparentemente delle priorità - e che poi alla fine ti schiacciano. Gesù dice: «Non preoccupatevi per la vostra vita». Nel versetto 28, Gesù chiede: «Perché vi affannate?». Nel versetto 31, ci comanda: «Non preoccupatevi». Poi Lui descrive il cammino dei pellegrini "insensati e preoccupati per se stessi", che si caricano di mille affanni - come molti di noi. E alla fine ci ordina quel «cercate per prima cosa» che ci libera da ogni ansia.
Parlando della preoccupazione di non avere ogni giorno il necessario per vivere, Gesù dice: «Di tutte queste cose si preoccupano quelli che non credono in Dio; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e
tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». In altre parole, Gesù sta dicendo che il tuo livello di ansietà, l'equilibrio della tua vita, dipende da quello che stai cercando, quello di cui sei veramente innamorato. Se sono cose terrene, allora benvenuto nella Terra delle Preoccupazioni e dello Stress. Se sono invece le cose che Dio considera priorità, quelle che durano per sempre, benvenuto allora nel Regno che Vola Al di Sopra dell'Insanità della Vita e delle sue Banalità.

Se appartieni a Gesù, sono sicuro che tu sei convinto che le priorità di Dio siano più importanti delle cose terrene. Ma i tuoi problemi quotidiani, le tue urgenze ti possono suggerire invece che è vero il contrario. Può darsi che ti sia lasciato invischiare nella
corsa per avere "tante-cose-che-sono-indispensabili"... nell'avere una "sicurezza economica"... nel cercare continuamente l'approvazione degli uomini e le loro gratificazioni. Così ti ritrovi a camminare in salita con lo zaino pieno di affanni inutili. Oh sì, fai un mucchio di fatica, ma avanzi di poco.
La differenza tra una persona piena di serenità e una piena di preoccupazioni sta tutta nelle priorità che si sono date - quale regno stai mettendo al primo posto? Se le priorità di Dio - il tuo tempo con Lui, il tuo servire Lui, il mantenere l'intimità con Lui - se queste cose sono state messi ai margini da altre, allora sei intrappolato in un sentiero in salita dove non conoscerai mai pace.
Invece oggi puoi «cercare per prima cosa il regno di Dio e la sua giustizia». Dio è tuo Padre e conosce i tuoi bisogni - allora libera lo zaino da affanni inutili, perché il Padre vuole che tu abbandoni a Lui il tuo oggi e il tuo domani. «Getta sul Signore il tuo affanno |
ed egli ti darà sostegno» (Salmo 54, 23). Se cerchi Dio e ti abbandoni con fiducia in Lui, ogni altra cosa ti sarà data in aggiunta - fidati di Lui e delle Sue promesse! Come dice la Bibbia, «cercate le cose di lassù» - e così puoi scavalcare le montagne senza le ansie che ti consumano e le preoccupazioni che ti tolgono la pace.

Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto
don Luciano

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