Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

giovedì 31 gennaio 2013

L'educazione è cosa del cuore (Interventi 157)

"In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall'altra parte non arrecano vantaggio a chi le merita." 

Riguardiamo come nostri figli quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne ad ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l`aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. 
Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi lo scandalo, ed in molti la santa speranza di ottenere il perdono da Dio. 
Egli ci disse perciò di imparare da lui ad essere mansueti ed umili di cuore (Mt 11, 29). 
(S.Giovanni Bosco)
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mercoledì 30 gennaio 2013

L’amorevole onnipotenza di Dio va contro i nostri schemi (Contributi 789)

Vi propongo questo articolo dal sito di Tempi: 

Benedetto XVI, nella consueta udienza generale del mercoledì, oggi dedicata al “Credo”, ha detto che «solo chi è davvero potente può sopportare il male e mostrarsi compassionevole, amando tutto e tutti, rispondendo al male con il bene, agli insulti con il perdono». Il Signore, ha spiegato il Papa, «ha un atteggiamento apparentemente debole, chiude gli occhi sui peccati degli uomini, attende pazientemente la nostra conversione». 

PATERNITA’. Il Papa, per parlare dell’onnipotenza di Dio è partito dal concetto di paternità. Anche se, ha avvertito, «non è facile oggi», soprattutto nel mondo occidentale, «parlare di paternità». Il problema oggi, ha detto il Papa, è che viviamo in un mondo in cui sembriamo soccombere a causa della disgregazione familiare, le preoccupazioni quotidiane, gli impegni pressanti, la difficoltà a “far quadrare i bilanci”, «la invasione dei mass media nel vivere quotidiano». Tutti questi sono «fattori che possono impedire un sereno rapporto tra padre e figlio», così che «comunicazione diventa difficile, viene meno la fiducia e il rapporto con la figura paterna» e, quindi, «diventa problematico anche il rapporto con Dio»: «A chi ha fatto esperienza di un padre autoritario e inflessibile o addirittura assente - ha detto Benedetto XVI – non è facile pensare a Dio come padre, abbandonarsi a lui con fiducia». Ma «la rivelazione biblica aiuta a superare queste difficoltà parlandoci di un Dio che ci mostra che cosa significhi veramente essere “padre”. Ed è soprattutto il Vangelo che ci rivela questo volto di Dio come Padre che ama fino al dono del proprio Figlio per la salvezza dell’umanità. Il riferimento alla figura paterna – ha spiegato il Papa – aiuta dunque a comprendere qualcosa dell’amore di Dio che però rimane infinitamente più grande, più fedele, più totale di quello di qualsiasi uomo». 
FUORI DAGLI SCHEMI. Se si riesce a «rispondere al male non con il male ma con il bene, e agli insulti con il perdono, allora l’amore ha davvero vinto, la morte è definitivamente sconfitta perché trasformata nel dono della vita». Per questo in Dio «la morte è inghiottita e privata del suo veleno e noi liberati dal peccato possiamo accedere alla realtà di figli di Dio», esprimendo «la nostra fede nella potenza dell’amore di Dio». L’onnipotenza di Dio è, infatti, «contro i nostri schemi. Noi vorremmo un’onnipotenza divina secondo i nostri schemi mentali e i nostri desideri: un Dio “onnipotente” che risolva i problemi, che intervenga per evitarci ogni difficoltà, che vinca tutte le potenze avverse, cambi il corso degli eventi e annulli il dolore». Ma qui Benedetto XVI si è fermato e ha chiesto: come è possibile pensare alla onnipotenza di Dio davanti alla croce di Gesù e alla sofferenza? Infatti, «davanti al male e alla sofferenza, per molti diventa problematico credere in un Dio Padre e crederlo onnipotente; alcuni cercano rifugio in idoli, cedendo alla tentazione di trovare risposta in una presunta onnipotenza “magica” e nelle sue illusorie promesse. Ma la fede in Dio onnipotente ci spinge a percorrere sentieri ben differenti: le vie e i pensieri di Dio sono diversi dai nostri e anche la sua onnipotenza è diversa: non si esprime come forza automatica o arbitraria, ma è segnata da una libertà amorosa e paterna». 
TEOLOGI E IDOLI. «Oggi – ha detto polemicamente Benedetto XVI – diversi teologi dicono che Dio non può essere onnipotente» e molte persone cedono alla «tentazione degli idoli». Ma il Dio del credo, ha ribadito il pontefice, non manifesta la propria onnipotenza con la «violenza» né con la «forza», ma con il suo amore compassionevole. «L’onnipotenza dell’amore non è quella del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo l a vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori. Ecco la vera, autentica e perfetta potenza divina: rispondere al male con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere», ha concluso Benedetto XVI. 
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lunedì 28 gennaio 2013

Giornata della Memoria. Il punto vero (Contributi 788)

Questo è l'ultimo editoriale di SamnizdatOnLine che puntualizza una questione importante: 

Se vogliamo veramente ricordare l'orrore nazista, non dobbiamo chiudere gli occhi sulla parte viva di quel cancro ideologico. Il mito della razza pura, l'eliminazione dell'imperfetto, lo sviluppo "scientifico" dell'eugenetica, non sono morti con la caduta del nazismo. Sono ancora vivi e vegeti e si chiamano "salute riproduttiva", "diagnosi pre-impianto", "buona morte" e, tra qualche anno, "aborto post-nascita". 
Allora, cosa è cambiato? 
 E' che ora non c'è più bisogno che uno stato totalitario imponga questi "valori". Oramai fanno parte della normalità, sono spacciati come "diritti umani fondamentali", sono diventate "scelte di libertà" delle singole persone. Sono scelte che hanno perpetrato, sparso ed espanso l'orrore dei lager. Da un unico camino che emana un denso fumo nero di morte a tanti insignificanti "rifiuti speciali" o squallidi cassonetti. 
Fa sinceramente ribrezzo vedere tanti politici fare bella mostra di sé nelle cerimonie della Memoria e, insieme, promuovere questa nuova strage di innocenti. Credo che il modo migliore per fare memoria dell'orrore di sei milioni di innocenti trucidati in pochi anni dai regimi nazi-fascisti sia quello di non chiudere gli occhi sulle decine di milioni di innocenti che sono stati e che continuano ad essere trucidati da una ideologia ancora viva e vegeta. 
Su questo non possiamo negoziare!
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domenica 27 gennaio 2013

Fare memoria (Interventi 156)

Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell'’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’'inseguimento di una pace illusoria. 
La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’'uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. 
Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’'ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? 
Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’'ambiente. 
Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’'essere umano e sull’'abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’'aborto e all’'eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita. 
(Benedetto XVI - Messaggio Giornata della Pace 2013)
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Domenica 3^ t. ord. 27-gen-2013 (Angelus 121)

Cari fratelli e sorelle,
La liturgia odierna ci presenta, uniti insieme, due brani distinti del Vangelo di Luca. Il primo (1,1-4) è il prologo, indirizzato ad un certo «Teofilo»; poiché questo nome in greco significa «amico di Dio», possiamo vedere in lui ogni credente che si apre a Dio e vuole conoscere il Vangelo. Il secondo brano (4,14-21), invece, ci presenta Gesù che «con la potenza dello Spirito» si reca di sabato nella sinagoga di Nazaret. Da buon osservante, il Signore non si sottrae al ritmo liturgico settimanale e si unisce all'assemblea dei suoi compaesani nella preghiera e nell'ascolto delle Scritture. Il rito prevede la lettura di un testo della Torah o dei Profeti, seguita da un commento. Quel giorno Gesù si alzò a leggere e trovò un passo del profeta Isaia che inizia così: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me, / perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; / mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri» (61,1-2). Commenta Origene: «Non è un caso che egli abbia aperto il rotolo e trovato il capitolo della lettura che profetizza su di lui, ma anche questo fu opera della provvidenza di Dio» (Omelie sul Vangelo di Luca, 32, 3). Gesù infatti, terminata la lettura, in un silenzio carico di attenzione, disse: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ora ascoltato» (Lc 4,21). San Cirillo d’Alessandria afferma che l’«oggi», posto tra la prima e l’ultima venuta di Cristo, è legato alla capacità del credente di ascoltare e ravvedersi (cfr PG 69, 1241). Ma, in un senso ancora più radicale, è Gesù stesso «l’oggi» della salvezza nella storia, perché porta a compimento la pienezza della redenzione. Il termine «oggi», molto caro a san Luca (cfr 19,9; 23,43), ci riporta al titolo cristologico preferito dallo stesso Evangelista, cioè «salvatore» (sōtēr). Già nei racconti dell’infanzia, esso è presentato nelle parole dell’angelo ai pastori: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore» (Lc 2,11). 
Cari amici, questo brano interpella «oggi» anche noi. Anzitutto ci fa pensare al nostro modo di vivere la domenica: giorno del riposo e della famiglia, ma prima ancora giorno da dedicare al Signore, partecipando all’Eucaristia, nella quale ci nutriamo del Corpo e Sangue di Cristo e della sua Parola di vita. In secondo luogo, nel nostro tempo dispersivo e distratto, questo Vangelo ci invita ad interrogarci sulla nostra capacità di ascolto. Prima di poter parlare di Dio e con Dio, occorre ascoltarlo, e la liturgia della Chiesa è la “scuola” di questo ascolto del Signore che ci parla. Infine, ci dice che ogni momento può divenire un «oggi» propizio per la nostra conversione. Ogni giorno (kathēmeran) può diventare l’oggi salvifico, perché la salvezza è storia che continua per la Chiesa e per ciascun discepolo di Cristo. Questo è il senso cristiano del «carpe diem»: cogli l’oggi in cui Dio ti chiama per donarti la salvezza! 
La Vergine Maria sia sempre il nostro modello e la nostra guida nel saper riconoscere e accogliere, ogni giorno della nostra vita, la presenza di Dio, Salvatore nostro e di tutta l’umanità.
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sabato 26 gennaio 2013

Una proposta vivente (Contributi 787)

Vi propongo questo articolo dal sito di Tempi: 

In occasione della presentazione del libro “Contro i papà”, Antonio Polito, Ferruccio De Bortoli e Julián Carrón sono andati a fondo del problema educativo. 

“Questo libro parla di genitori pronti ad eliminare ogni ostacolo che si pone nella via al successo dei figli, mettendosi nei panni dei loro sindacalisti”. Così Letizia Bardazzi, Presidente dell’Associazione Italiana Centri Culturali, ha introdotto l’incontro, organizzato dal Centro Culturale di Milano (in collaborazione con Rizzoli), che ha avuto come protagonisti Antonio Polito, autore del libro ed editorialista de Il Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, direttore de Il Corriere della Sera e Julián Carrón, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione. 
Contro i papà. Come noi italiani abbiamo rovinato i nostri figli nasce dopo la pubblicazione (in prima pagina) di un editoriale dello stesso Polito che, affrontando temi analoghi a quello poi approfondito nello stesso libro, ha suscitato “una grande reazione di proteste e consensi”. Un feedback inaspettato, conferma della grande attualità e urgenza di alcuni temi, in primis di quello educativo. Il grande lavoro dell’autore inizia con il voler andare a fondo di quale fosse l’origine di comportamenti e attitudini caratteristici dei papà: “La prima responsabilità che abbiamo è quella di avere separato la società dagli individui, come se fossero due campi totalmente diversi. La soluzione dei nostri problemi collettivi richiede senza dubbio uno sforzo individuale, ma bisogna capire che questi stessi problemi nascono da comportamenti individuali e dai piccoli nuclei della società”. L’origine di questi problemi italiani è quindi culturale. Cosciente della necessità di doversi sottrarre alla soluzione dei falsi miti nei quali stiamo spesso tranquillamente adagiati, Polito afferma che “se si vogliono affrontare i problemi culturali del nostro Paese è necessario rimettere l’accento su una parola ora in disuso: educazione”. In effetti ci troviamo ora di fronte ad abitudini completamente differenti da quelle del passato, come spiega il direttore de Il Corriere della Sera, raccontando la sua esperienza di figlio: “Vengo da una famiglia povera e ricordo che, pur nella nostra dignitosa condizione, ho sempre pranzato con mio padre e ho sempre cenato con entrambi i miei genitori”. In questi ultimi decenni si sono quindi verificati “da una parte un’ipertrofia dell’individuo e dall'altra un progressivo degrado delle istituzioni e dei nuclei familiari”. Un fil rouge che, tra singolo e comunità, non lascia scampo a nessuno: “Ci siamo disabituati a considerare che per giungere a un risultato sono necessari sacrificio, tempo e dedizione; non riusciamo a comprendere che tutto deve essere oggetto di conquista”. 
Dove stiamo portando i nostri figli? 
É questa la domanda che secondo Julián Carrón riassume l’intero volume di Polito, che è arrivato a identificare non solo la sfida ma anche l’origine di essa. Secondo il Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, questa origine ha sede negli adulti e negli educatori “che non sono stati in grado di offrire un’ipotesi di risposta al bisogno dei figli”. “I genitori hanno voluto risparmiare la fatica che implica il vivere – continua Carrón -. Invece di lanciarli verso una meta ambiziosa, corrispondente al loro bisogno e al loro cuore, si è voluto spianargli e risparmiargli la strada”. Il riferimento a quello che disse Giussani in un’intervista del lontano (ma forse non troppo) ottobre 1992 viene spontaneo; rispondendo alle incalzanti domande di Gianluigi Da Rold, il fondatore di Cl disse “Mi spaventa la situazione dell’Italia [...] dove non c’è un ideale adeguato, dove non c’è nulla che ecceda l’aspetto utilitaristico. [...] Chissà se chi ha questo desiderio capisca che, per poterlo realizzare, ha bisogno di un ideale, di una speranza”. 
E’ proprio qui che secondo Carrón sta il punto di svolta nell'approccio al problema educativo: “Si deve partire da quello che Pavese chiamava il punto infiammato dell’animo, da quel cuore che non può essere ridotto a fattori antecedenti”. Continua: “La questione è chi è in grado di risvegliare questo punto infiammato: tutte le istituzioni (la famiglia, lo Stato, la Chiesa, i partiti) sono di fronte a questa sfida. Non basta un richiamo etico: occorre un adulto che sia in grado di fare interessare l’uomo alla sua vita”. 
Occorre quindi una “proposta vivente”, usando le parole di Papa Paolo VI. 
Concludendo il proprio intervento, davanti a una platea piena di giovani (e quindi di figli) Julián Carrón spiega: “L’educazione non è un’operazione che ha lo scopo di convincere l’altro di quello in cui crediamo, ma è la libertà di una persona che si rapporta alla libertà di un’altra, perché il cuore dell’uomo é sete di verità”.
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venerdì 25 gennaio 2013

Solennità della Conversione di S.Paolo Apostolo, omelia di Benedetto XVI (Contributi 786)

Cari fratelli e sorelle! 
E’ sempre una gioia e una grazia speciale ritrovarsi insieme, intorno alla tomba dell’apostolo Paolo, per concludere la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Saluto con affetto i Cardinali presenti, in primo luogo il Cardinale Harvey, Arciprete di questa Basilica, e con lui l’Abate e la Comunità dei monaci che ci ospitano. Saluto il Cardinale Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e tutti i collaboratori del Dicastero. Rivolgo i miei cordiali e fraterni saluti a Sua Eminenza il Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarca ecumenico, al Reverendo Canonico Richardson, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, e a tutti i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, qui convenuti questa sera. Inoltre, mi è particolarmente gradito salutare i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, ai quali auguro un fruttuoso lavoro per la sessione plenaria che si sta svolgendo in questi giorni a Roma, come pure gli studenti dell'Ecumenical Institute of Bossey, in visita a Roma per approfondire la loro conoscenza della Chiesa cattolica, e i giovani ortodossi e ortodossi orientali che qui studiano. Saluto infine tutti i presenti convenuti a pregare per l’unità tra tutti i discepoli di Cristo. 
Questa celebrazione si inserisce nel contesto dell’Anno della fede, iniziato l’11 ottobre scorso, cinquantenario dell’apertura del Concilio Vaticano II. La comunione nella stessa fede è la base per l’ecumenismo. L’unità, infatti, è donata da Dio come inseparabile dalla fede; lo esprime in maniera efficace san Paolo: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6). La professione della fede battesimale in Dio, Padre e Creatore, che si è rivelato nel Figlio Gesù Cristo, effondendo lo Spirito che vivifica e santifica, già unisce i cristiani. Senza la fede - che è primariamente dono di Dio, ma anche risposta dell’uomo - tutto il movimento ecumenico si ridurrebbe ad una forma di “contratto” cui aderire per un interesse comune. Il Concilio Vaticano II ricorda che i cristiani «con quanta più stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, con tanta più intima e facile azione potranno accrescere la mutua fraternità» (Decr. Unitatis redintegratio, 7). Le questioni dottrinali che ancora ci dividono non devono essere trascurate o minimizzate. Esse vanno piuttosto affrontate con coraggio, in uno spirito di fraternità e di rispetto reciproco. Il dialogo, quando riflette la priorità della fede, permette di aprirsi all'azione di Dio con la ferma fiducia che da soli non possiamo costruire l’unità, ma è lo Spirito Santo che ci guida verso la piena comunione, e fa cogliere la ricchezza spirituale presente nelle diverse Chiese e Comunità ecclesiali. 
Nella società attuale sembra che il messaggio cristiano incida sempre meno nella vita personale e comunitaria; e questo rappresenta una sfida per tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali. L’unità è in se stessa un mezzo privilegiato, quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile la fede a coloro che non conoscono ancora il Salvatore, o che, pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, hanno quasi dimenticato questo dono prezioso. Lo scandalo della divisione che intaccava l’attività missionaria fu l’impulso che diede inizio al movimento ecumenico quale oggi lo conosciamo. La piena e visibile comunione tra i cristiani va intesa, infatti, come una caratteristica fondamentale per una testimonianza ancora più chiara. Mentre siamo in cammino verso la piena unità, è necessario allora perseguire una collaborazione concreta tra i discepoli di Cristo per la causa della trasmissione della fede al mondo contemporaneo. Oggi c’è grande bisogno di riconciliazione, di dialogo e di comprensione reciproca, in una prospettiva non moralistica, ma proprio in nome dell’autenticità cristiana per una presenza più incisiva nella realtà del nostro tempo. 
La vera fede in Dio poi è inseparabile dalla santità personale, come anche dalla ricerca della giustizia. Nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che oggi si conclude, il tema offerto alla nostra meditazione era: «Quel che il Signore esige da noi», ispirato alle parole del profeta Michea, che abbiamo ascoltato (cfr 6,6-8). Esso è stato proposto dallo Student Christian Movement in India, in collaborazione con la All India Catholic University Federation ed il National Council of Churches in India, che hanno preparato anche i sussidi per la riflessione e la preghiera. A quanti hanno collaborato desidero esprimere la mia viva gratitudine e, con grande affetto, assicuro la mia preghiera a tutti i cristiani dell’India, che a volte sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in condizioni difficili. «Camminare umilmente con Dio» (cfr Mi 6,8) significa anzitutto camminare nella radicalità della fede, come Abramo, fidandosi di Dio, anzi riponendo in Lui ogni nostra speranza e aspirazione, ma significa anche camminare oltre le barriere, oltre l’odio, il razzismo e la discriminazione sociale e religiosa che dividono e danneggiano l’intera società. Come afferma san Paolo, i cristiani devono offrire per primi un luminoso esempio nella ricerca della riconciliazione e della comunione in Cristo, che superi ogni tipo di divisione. Nella Lettera ai Galati, l’Apostolo delle genti afferma: «Tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (3,27-28). 
La nostra ricerca di unità nella verità e nell'amore, infine, non deve mai perdere di vista la percezione che l’unità dei cristiani è opera e dono dello Spirito Santo e va ben oltre i nostri sforzi. Pertanto, l’ecumenismo spirituale, specialmente la preghiera, è il cuore dell’impegno ecumenico (cfr Decr. Unitatis redintegratio, 8). Tuttavia, l’ecumenismo non darà frutti duraturi se non sarà accompagnato da gesti concreti di conversione che muovano le coscienze e favoriscano la guarigione dei ricordi e dei rapporti. Come afferma il Decreto sull'ecumenismo del Concilio Vaticano II, «non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione» (n. 7). Un’autentica conversione, come quella suggerita dal profeta Michea e di cui l’apostolo Paolo è un significativo esempio, ci porterà più vicino a Dio, al centro della nostra vita, in modo da avvicinarci maggiormente anche gli uni agli altri. È questo un elemento fondamentale del nostro impegno ecumenico. Il rinnovamento della vita interiore del nostro cuore e della nostra mente, che si riflette nella vita quotidiana, è cruciale in ogni dialogo e cammino di riconciliazione, facendo dell’ecumenismo un impegno reciproco di comprensione, rispetto e amore, «affinché il mondo creda» (Gv 17,21). 
Cari fratelli e sorelle, invochiamo con fiducia la Vergine Maria, modello impareggiabile di evangelizzazione, affinché la Chiesa, «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Cost. Lumen gentium, 1), annunci con franchezza, anche nel nostro tempo, Cristo Salvatore. Amen. 
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mercoledì 23 gennaio 2013

Cristiani, non abbiate timore di andare controcorrente (Contributi 785)

Vi propongo questo articolo dal sito di Tempi: 

 «Il cristiano non deve avere timore di andare controcorrente per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di uniformarsi». 
Lo ha detto il Papa che, nell'udienza generale di oggi, ha inaugurato un ciclo di catechesi sul “Credo”, la «solenne professione di fede che accompagna la nostra vita di credenti». 
«In tante nostre società – ha affermato Benedetto XVI – Dio è diventato il grande assente e al suo posto vi sono molti idoli, prima di tutto l’io autonomo». 
«Anche i notevoli e positivi progressi della scienza e della tecnica – ha aggiunto – hanno indotto nell'uomo un’illusione di onnipotenza e di autosufficienza, e un crescente egocentrismo ha creato non pochi squilibri all'interno dei rapporti interpersonali e dei comportamenti sociali». 
La fede, invece, «ci rende pellegrini sulla terra, inseriti nel mondo e nella storia, ma in cammino verso la patria celeste». 
«Credere in Dio – ha aggiunto il Papa – ci rende portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e l’opinione del momento, ci chiede di adottare criteri e assumere comportamenti che non appartengono al comune modo di pensare». 
L’esempio additato da Benedetto XVI è Abramo, «il credente», che «ci insegna la fede e, da straniero sulla terra, ci indica la vera patria».
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martedì 22 gennaio 2013

L’Angelo Custode (Contributi 784)

di P. Angel Peña 

È miglior amico dell’uomo. Lo accompagna senza stancarsi giorno e notte, dalla nascita fino a dopo la morte, fino a quando giunge a godere la pienezza della gioia di Dio. Durante il Purgatorio è al suo fianco per consolarlo e aiutarlo in quei difficili momenti. Tuttavia, per alcuni l’esistenza dell’Angelo Custode è solo una pia tradizione da parte di chi la voglia accogliere. Non sanno che è chiaramente espressa nella Scrittura e sancita nella dottrina della Chiesa e che tutti i santi ci parlano dell’Angelo Custode per propria personale esperienza. Alcuni di loro lo hanno addirittura visto e hanno intrattenuto un rapporto personale molto stretto con lui, come vedremo. 
Allora: quanti angeli abbiamo? Almeno uno, ed è sufficiente. Ma alcune persone, per il loro incarico come il Papa, o per il loro grado di santità, possono averne di più. Conosco una religiosa a cui Gesù rivelò che ne aveva tre, e mi disse i loro nomi. Santa Margherita Maria de Alacoque, quando raggiunse uno stadio avanzato nel cammino di santità, ottenne da Dio un nuovo Angelo Custode che le disse: «Io sono uno dei sette spiriti che stanno più vicini al trono di Dio e che più partecipano alle fiamme del Sacro Cuore di Gesù Cristo e il mio intento è quello di comunicartele per quanto tu sia capace di riceverle» (Memoria alla M. Saumaise). 
Dice la Parola di Dio: «Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce e non ribellarti a lui... Se tu ascolti la sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari» (Es 23,20-22). «Ma se vi è un angelo presso di lui, un protettore solo fra mille, per mostrare all’uomo il suo dovere [...] abbia pietà di lui» (Gb 33, 23). «Poiché il mio angelo è con voi, egli si prenderà cura di voi» (Bar 6, 6). «L’angelo del Signore si accampa intorno a quelli che lo temono e li salva» (Sal 33, 8). La sua missione è «di custodirti in tutti i tuoi passi » (Sal 90,11). Gesù dice che «i loro angeli [dei bambini] nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18, 10). L’Angelo Custode ti assisterà come fece con Azaria e i suoi compagni nella fornace ardente. «Ma l’angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma del fuoco e rese l’interno della fornace come un luogo dove soffiasse un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, non diede loro alcuna molestia» (Dn 3,49-50). 
L’angelo ti salverà come fece con san Pietro: «Ed ecco gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: "Alzati, in fretta!" E le catene gli caddero dalle mani. E l’angelo a lui: "Mettiti la cintura e legati i sandali . E così fece. L’angelo disse: "Avvolgiti il mantello, e seguimi!"... La porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo di dileguò da lui. Pietro, allora, rientrato in sé, disse: "Adesso sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo..."» (At 12,7-11). Nella Chiesa primitiva si credeva senza dubbio alcuno nell'Angelo Custode, e per questo, quando Pietro viene liberato dal carcere e si dirige a casa di Marco, la inserviente di nome Rode, resasi conto che era Pietro, piena di gioia corre a dare la notizia senza neppure avergli aperto la porta. Ma quelli che l’udivano credevano che si stesse sbagliando e dicevano: «Sarà il suo angelo» (At 12,15). La dottrina della Chiesa è chiara su questo punto: «Dall’infanzia fino all’ora della morte la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione. Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita» (Cat 336). 
Anche san Giuseppe e Maria avevano il loro angelo. E’ probabile che l’angelo che avvertì Giuseppe di prendere Maria come sposa (Mt 1, 20) o di fuggire in Egitto (Mt 2,13) o di ritornare in Israele (Mt 2, 20) fosse proprio il suo Angelo Custode. Certo è che fin dal primo secolo già compare chiaramente negli scritti dei Santi Padri la figura dell’Angelo Custode. Di lui già si parla nel libro famoso del primo secolo Il Pastore di Ermas. Sant’Eusebio di Cesarea li chiama «tutori» degli uomini; san Basilio «compagni di viaggio»; san Gregorio Nazianzeno «scudi protettori». Origene afferma che «intorno ad ogni uomo vi è sempre un angelo del Signore che lo illumina, lo custodisce e lo protegge da ogni male». 
Vi è un’antica preghiera all’Angelo Custode del III secolo in cui gli si chiede che illumini, protegga e custodisca il suo protetto. Anche sant’Agostino parla spesso dell’intervento angelico nella nostra vita. San Tommaso d’Aquino gli dedica un passo della sua Summa Teologica (Sum Theolo I, q.113) e scrive: «La custodia degli angeli è come una espansione della Divina Provvidenza, ed allora, poiché questa non viene meno per nessuna creatura, tutte si ritrovano sotto la custodia degli angeli». 
La festa degli angeli custodi in Spagna e in Francia risale al V secolo. Forse già a quei tempi cominciarono a recitare l’orazione che abbiamo imparato da bambini: «Angelo mio custode, dolce compagnia, non mi abbandonare né di notte né durante il dì». Papa Giovanni Paolo II disse il 6 agosto 1986: «E’ molto significativo che Dio affidi agli angeli i suoi piccoli figli, che hanno sempre bisogno di cura e di protezione». 
Pio XI invocava il suo Angelo Custode all’inizio e alla fine di ogni giorno e, spesso, durante il giorno, specialmente quando le cose si ingarbugliavano. Raccomandava la devozione agli angeli custodi e nel congedarsi diceva: «Che il Signore ti benedica e il tuo angelo ti accompagni». Pio XII diceva il 3 ottobre 1958 ad alcuni pellegrini nordamericani riguardo agli angeli: «Essi erano nelle città che avete visitato, ed erano vostri compagni di viaggio». 
Un’altra volta in un radiomessaggio disse: «Abbiate molta familiarità con gli angeli... Se Dio vuole, passerete tutta l’eternità nella gioia con gli angeli; imparate conoscerli fin d’ora. La familiarità con gli angeli ci infonde un sentimento di sicurezza personale». 
Giovanni XXIII disse ai sacerdoti: «Chiediamo al nostro Angelo Custode che ci assista nella recita quotidiana dell’Ufficio divino affinché lo recitiamo con dignità, attenzione e devozione, sia gradito a Dio, utile per noi e per i nostri fratelli» (6 gennaio 1962). 
Nella liturgia del giorno della loro festa (2 ottobre) si dice che sono «celesti compagni affinché non periamo di fronte agli insidiosi assalti dei nemici». Invochiamoli con frequenza e non dimentichiamo che anche nei luoghi più nascosti e solitari c’è qualcuno che ci accompagna. Per questo San Bernardo consiglia: «Vai sempre con prudenza, come uno cha ha sempre presente il proprio angelo in tutti i percorsi». 
Sei cosciente che il tuo Angelo osserva quello che fai? Lo ami?
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domenica 20 gennaio 2013

Domenica 2^ t. ord. 20-gen-2013 (Angelus 120)

Cari fratelli e sorelle! 
Oggi la liturgia propone il Vangelo delle nozze di Cana, un episodio narrato da Giovanni, testimone oculare del fatto. Tale episodio è stato collocato in questa domenica che segue immediatamente il tempo di Natale perché, insieme con la visita dei Magi d’oriente e con il Battesimo di Gesù, forma la trilogia dell’epifania, cioè della manifestazione di Cristo. Quello delle nozze di Cana è infatti «l’inizio dei segni» (Gv 2,11), cioè il primo miracolo compiuto da Gesù, con il quale Egli manifestò in pubblico la sua gloria, suscitando la fede dei suoi discepoli. Richiamiamo brevemente ciò che accadde durante quella festa di nozze a Cana di Galilea. Accadde che venne a mancare il vino, e Maria, la Madre di Gesù, lo fece notare a suo Figlio. Egli le rispose che non era ancora giunta la sua ora; ma poi seguì la sollecitazione di Maria e, fatte riempire d’acqua sei grandi anfore, trasformò l’acqua in vino, un vino eccellente, migliore del precedente. Con questo “segno”, Gesù si rivela come lo Sposo messianico, venuto a stabilire con il suo popolo la nuova ed eterna Alleanza, secondo le parole dei profeti: «Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5). E il vino è simbolo di questa gioia dell’amore; ma esso allude anche al sangue, che Gesù verserà alla fine, per sigillare il suo patto nuziale con l’umanità. 
La Chiesa è la sposa di Cristo, il quale la rende santa e bella con la sua grazia. Tuttavia questa sposa, formata da esseri umani, è sempre bisognosa di purificazione. E una delle colpe più gravi che deturpano il volto della Chiesa è quella contro la sua unità visibile, in particolare le storiche divisioni che hanno separato i cristiani e che non sono state ancora superate. Proprio in questi giorni, dal 18 al 25 gennaio, si svolge l’annuale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, un momento sempre gradito ai credenti e alle comunità, che risveglia in tutti il desiderio e l’impegno spirituale per la piena comunione. In tal senso è stata molto significativa la veglia che ho potuto celebrare circa un mese fa, in questa Piazza, con migliaia di giovani di tutta Europa e con la comunità ecumenica di Taizé: un momento di grazia in cui abbiamo sperimentato la bellezza di formare in Cristo una cosa sola. Incoraggio tutti a pregare insieme affinché possiamo realizzare «Quello che esige il Signore da noi» (cfr Mi 6,6-8), come dice quest’anno il tema della Settimana; un tema proposto da alcune comunità cristiane dell’India, che invitano ad impegnarsi con decisione verso l’unità visibile tra tutti i cristiani, e a superare, come fratelli in Cristo, ogni tipo di ingiusta discriminazione. Venerdì prossimo, al termine di queste giornate di preghiera, presiederò i Vespri nella Basilica di San Paolo fuori le mura, alla presenza dei Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. 
Cari amici, alla preghiera per l’unità dei cristiani vorrei aggiungere ancora una volta quella per la pace, perché, nei diversi conflitti purtroppo in atto, cessino le ignobili stragi di civili inermi, abbia fine ogni violenza, e si trovi il coraggio del dialogo e del negoziato. Per entrambe queste intenzioni, invochiamo l’intercessione di Maria Santissima, mediatrice di grazia.
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sabato 19 gennaio 2013

Fascino, ragione e “l’abbraccio che vogliamo”. (Contributi 783)

Riporto un articolo tratto da Tempi su Padre Romano Scalfi che compie 90 anni: 

Segnaliamo che oggi su Avvenire appare una bella intervista di Marina Corradi a padre Romano Scalfi, fondatore di “Russia Cristiana” , classe 1923. 
Scalfi ha dedicato la vita per la «rievangelizzazione dell’Est – perché la fede rinascesse, nel dominio del socialismo reale. Decenni di viaggi, contatti, amicizie, di samizdat nascostamente trafugati in Occidente e di Bibbie altrettanto nascostamente diffuse laggiù. È la lunga attività di “Russia cristiana”, che oggi ha sede qui a Seriate. Pochi, ti dici, come questo sacerdote delle Valli Giudicarie, una gran barba da starets, evocano con la loro persona la parola “testimone”». 

LA FEDE NELL’URSS Scalfi racconta come arrivò e si innamorò della Russia, sebbene negli anni Settanta e Ottanta, in quanto persona no grata, non poté varcarne i confini. Ma, dice, «settant'anni di comunismo non sono bastati a cancellare la fede dal cuore dei russi. Nell'88, quando si è cominciato a poter parlare di fede apertamente, l’80% della popolazione si dichiarava credente. Abbiamo assistito a una rinascita, si facevano battezzare in 100 alla volta. In una forte confusione di idee, certo: si dicevano cristiani e però non credevano alla immortalità, oppure davano credito alla superstizione. Ora lo slancio di vent'anni fa si è arenato, e i problemi della Chiesa sono simili ai nostri». 
IL RELATIVISMO «Vent'anni di consumismo, peggio che settanta di comunismo?», chiede Corradi. «Il problema della Russia oggi, come dell’Occidente, – risponde Scalfi – più che il consumismo è il relativismo. Il quale a sua volta è l’ultima deriva del razionalismo di cui anche Marx è espressione. La falsità fondamentale del marxismo era nel dire che la coscienza dell’uomo è determinata dalle forze produttive e dai rapporti di produzione: l’uomo dunque non era più libero, la sua natura era stata alterata. Anche il relativismo oggi nega questa natura, nega il cuore dell’uomo come innato, quando afferma che non esiste una verità assoluta. Quando dice, come si usa tra i fautori del pensiero debole, che fra menzogna e verità non c’è differenza. Se fosse vero, non avrebbe senso l’azione stessa dell’uomo. È questo, a mio parere, che sta disfacendo l’Occidente». 
CUORE E RAGIONE Come uscire da questa situazione? «Dobbiamo recuperare il valore totale della ragione. L’uomo, per capire, ha bisogno della testa e del cuore – del cuore inteso in senso biblico. Educato nella tradizione orientale, io so che l’uomo comprende solo nella integrità della sua persona. Il relativismo non si vince combattendo la ragione, ma inserendola nella interezza della persona. (Come dicevano i Padri del IV secolo: “Conosco solo ciò che diventa in me vita”). E credo che questo sia il cammino indicato da Benedetto XVI per l’anno della Fede. Si riparte da una ragione allargata. Chi ha dei figli si accorge che il loro stupore, da piccoli, di fronte alla bellezza, genera una domanda, e una affezione. Gregorio di Nissa ha detto: “Solo lo stupore conosce”». 
NON MORALISMO, MA FASCINO Il sacerdote specifica che non si deve partire «da un moralismo, ma da ciò che affascina: cioè il bisogno che l’uomo ha di infinito, di amore autentico, di libertà vera. Occorre partire da una pienezza. Non da un elenco di retti comportamenti, ma invece dal riconoscimento del Mistero». E la strada per accedere a questo Mistero è «la bellezza. La bellezza è la prima cosa necessaria alla missione, specialmente oggi, dentro a una ragione dimezzata. La bellezza colpisce il cuore; la bellezza contagia. E la liturgia deve essere bella, ma senza che ci sia nulla da inventare. L’eternamente “nuovo” è Cristo. E l’opera del sacerdote non è una tecnica, è vita. Occorre solo che siamo innamorati di Cristo. Se un prete fa un’omelia di un’ora, già gli manca il criterio della bellezza. Perché il centro, il fuoco della Messa è l’Eucarestia, è Cristo. Si tratta solo di tornare al centro. Il resto, è secondario». 
DON GIUSSANI Scalfi racconta anche del suo incontro con don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione: «Qualcuno mi disse che a Milano c’era un prete strambo, sempre circondato da ragazzi. Andai, mi ritrovai in uno stanzone dove giocavano a ping pong. Arrivò Giussani, “E tu chi sei”, mi chiese. Dissi due cose e subito lui mi abbracciò, senza sapere nemmeno ancora chi fossi. Semplicemente, mi abbracciò. Non l’ho più lasciato, e anni dopo ho aderito a CL. Non è un abbraccio, prima di tutto, ciò che vogliamo?». 
I SANTI Infine Corradi gli chiede se ha conosciuto dei santi: «I santi esistono ancora, io ne ho incontrati. Il mio padre spirituale al Russicum, don Eugenio Bernardi, è Beato. Anche a un allievo indisciplinato come me, la sua umanità si imponeva. Mi creda, un solo santo – basta pensare nei nostri anni a Giovanni Paolo II – cambia il mondo, più di 100 Nobel».
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giovedì 17 gennaio 2013

Sofferenza e perdono nel viaggio di Farisa (Contributi 782)

Una storia tratta da la Bussola: 

“E' un inferno, un inferno!” Farisa ha ancora negli occhi tutte le sofferenze che ha provato nel suo viaggio disperato dall'Eritrea in Israele. Come lei, sono tanti i profughi africani caduti nelle mani dei beduini del Sinai. Il mercato di uomini che da anni affligge la biblica catena montuosa tra Egitto e Israele riempie spesso le pagine dei giornali. Inascoltate tutte le richieste della Comunità Internazionale, accade spesso che Eritrei ed Etiopi in fuga verso il mondo arabo (o Israele) vengano catturati. 
In alcuni casi i rapitori chiedono semplicemente un riscatto ai familiari in cambio della libertà, altre volte gli sventurati vanno a incrementare l'enorme traffico di organi. Un business enorme, dove a essere coinvolte sono migliaia di persone. Centinaia di uomini sono stati uccisi dalle guardie Egiziane, mentre cercavano di raggiungere Israele. Ad altri è stato negato il diritto d'asilo, una volti giunti a destinazione. I numeri parlano di 50.000 persone che hanno provato a varcare il confine, oggi ben tutelato dal muro voluto dal governo di Netanyahu (ma la tratta di uomini prosegue). Più di 10.000 le vittime dei predoni, circa 3.000 persone scomparse nel nulla. A parte alcuni musulmani del Darfour, la maggioranza dei profughi è cristiana. Proprio come Farisa. 
Lei è originaria dell'Eritrea, scappata dal suo paese per tentare fortuna nella Terra Promessa. A casa ha lasciato solo due genitori anziani “e una terra senza lavoro, con nessuna prospettiva per il futuro”. Così un giorno, “quando proprio – dice – non ne potevo più – arriva la decisione di abbandonare tutto e andare in Israele. “Eravamo un piccolo gruppo partiti da Asmara più di due anni fa, senza documenti e con pochi soldi nella borsa”. La strada, lunghissima, da percorrere per lunghi tratti a piedi. “Non mi ricordavo più quanti chilometri abbiamo percorso con lo zaino sulle spalle – racconta – evitando tutte le strade principali per non venire catturati”. 
Farisa ha viaggiato con mezzi di fortuna, prima in Sudan e poi in Egitto. “Viaggiavamo di giorno, per non accendere le luci delle torcie e venire identificati”. La paura di finire in galera ha accompagnato questa donna trentenne per lunghi giorni di apprensione e “tanta, tanta fame”. “E se non avessi avuto la compagnia della fede, non so se sarei arrivata fin qui”. “Ma sono sicura - continua a ripeterlo mentre ripensa con commozione ai quei momenti – che il Signore era con me in quei momenti”. 
Farisa ci racconta oggi il suo incredibile viaggio da un centro per profughi in Israele, dove tante persone riescono ad arrivare dopo aver corso pericoli enormi. “Sul Sinai siamo stati catturati – prosegue mentre la voce diventa rotta dall'emozione – e i beduini ci hanno portati via con loro”. Ma non sapeva assolutamente dove si trovava. Ricorda solo una stanza buia, dove è stata violentata più volte. “Quella notte credevo di morire. Non riuscivo nemmeno a vedere la faccia di chi stava abusando di me. Mi sentivo completamente impotente”. Poi, dopo diversi giorni passati tra la vergogna e il rancore, la liberazione tanto attesa. 
Farisa riesce a raggiungere Israele, ma vede la sua pancia diventare sempre più gonfia. “Ho capito che stavo aspettando un bambino, che la vita nel mio grembo era il frutto di quella violenza”. Accanto al dolore e alla rabbia dei primi tempi, Farisa scopre in quei mesi di attesa anche il perdono. “Guardando il mio pancione, sentendo quei calci di un bambino desideroso di venire al mondo che a volte mi facevano male, ero contenta”. E poi, a un certo punto: “Mi sono accorta che non odiavo chi mi aveva fatto del male, e cominciavo a ringraziare il Signore, sempre”. 
Oggi tiene felice in braccio quella piccola creatura, mentre gli sorride. “E sa come l'ho chiamato? Emanuele, che significa Dio con noi. Perché questo bambino è davvero la più bella compagnia che Dio fa alla mia vita, tutti i giorni”.
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martedì 15 gennaio 2013

Non negoziabili: cioè ? (Contributi 781)

Ecco l'ultimo editoriale di Samizdat On Line:

I principi non negoziabili sono il meglio del nostro modo di vivere, il fondamento del nostro benessere. Perché dovremmo rinunciarci? La "protezione della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del suo concepimento fino alla morte naturale" è il modo di difendere i più deboli, i nascituri e i malati. Chi, debole e indifeso, non vorrebbe essere protetto dai suoi genitori, dai suoi fratelli, dai suoi figli, dai suoi amici? 
A proposito della famiglia, il "riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio" è semplicemente il riconoscimento del luogo dove siamo nati e cresciuti. Chi non ha avuto questa fortuna, forse capisce più di noi la necessità della "sua difesa di fronte ai tentativi di far sì che sia giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che in realtà la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo ruolo sociale insostituibile". La famiglia, è la prima società umana, il matrimonio è "il" contratto tra uomini (il primo, storicamente), il primo luogo dove una persona si prende cura dell'altra. Non esiste stato sociale che possa garantire il benessere garantito da una famiglia, neanche con le tasse al 100%. 
A proposito dell'educazione, quale padre o madre si sente tranquillo a delegare in bianco l'educazione dei propri figli ad altri? "La protezione del diritto dei genitori ad educare i loro figli" è il primo presidio contro ogni tipo di dittatura culturale. 
Allora, diciamolo chiaramente: questi principi sono talmente connaturati in noi da essere al di sopra delle religioni
Anzi, sono addirittura una garanzia nei confronti delle "follie" religiose. 
Perché c'è bisogno di chiedere garanzie ai politici su questi principi? 
Perché soprattutto in questo periodo di crisi economica c'è il rischio che i nostri politici, incapaci di risolvere i problemi veri, si scatenino in battaglie ideologiche che "distraggano" dalla loro impotenza (vd. quello che sta facendo il presidente francese, come ben rilevato da Socci...). 
E poi, perché qualsiasi azione di governo parte dall'idea di uomo che uno ha. 
Trattiamo l'uomo come Dio, perché Dio si è fatto uomo. 
C'è chi può offrire di più?
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lunedì 14 gennaio 2013

La confessione (Interventi 155)

Dio vuole donarci il suo perdono attraverso il sacramento della confessione. 
La nostra riconciliazione con Dio, il ritorno alla casa del Padre, sull'esempio del figlio prodigo, si attua mediante Cristo. 
La sua passione e morte in croce si collocano tra ogni coscienza umana, ogni peccato umano, e l'infinito amore del Padre. 
Tale amore, pronto a sollevare e perdonare, non e' altro che la misericordia. 
Ognuno di noi nella conversione personale, nel pentimento, nel fermo proposito di ravvedimento, infine nella Confessione, accetta di compiere una personale fatica spirituale, la quale e' prolungamento di quella "fatica salvifica" intrapresa dal nostro Redentore. 
Non della severità di Dio parlano i confessionali del mondo, presso i quali gli uomini manifestano i propri peccati, ma piuttosto della sua bontà misericordiosa. 
E quanti si avvicinano al confessionale, talora dopo molti anni e col peso di peccati gravi, nel momento di allontanarsene, trovano il desiderato sollievo; incontrano la gioia e la serenità della coscienza, che fuori della Confessione non potranno trovare altrove. 
Nessuno infatti ha il potere di liberarci dal nostro peccato, se non soltanto Dio. Dunque questo nostro sforzo di conversione e di penitenza intraprendiamolo per Gesù, con Lui e in Lui. Se non lo intraprendiamo, non siamo degni del nome di "cristiani", non siamo degni di quello che Gesù ci ha donato con la sua vita, morte e risurrezione. 
Ci dice ancora l'apostolo Paolo: «Se uno e' in Cristo, e' una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove. 
Tutto questo pero' viene da Dio, che ci ha riconciliato con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,17-18). 
Non manchino a nessuno quindi la pazienza e il coraggio di fare ammenda dei propri peccati, confessandoli nel Sacramento della Riconciliazione. 
Non manchi a noi sopratutto l'amore per Cristo che ha dato per noi tutto se stesso. Tale amore faccia scaturire nei cuori la stessa profonda fiducia che scaturi' nel cuore del figlio prodigo: «Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato!» 
Giovanni Paolo II, 16 Marzo 1980
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domenica 13 gennaio 2013

Battesimo del Signore (Angelus 119)

Cari fratelli e sorelle! 
Con questa domenica dopo l’Epifania si conclude il Tempo liturgico del Natale: tempo di luce, la luce di Cristo che, come nuovo sole apparso all'orizzonte dell’umanità, disperde le tenebre del male e dell’ignoranza. 
Celebriamo oggi la festa del Battesimo di Gesù: quel Bambino, figlio della Vergine, che abbiamo contemplato nel mistero della sua nascita, lo vediamo oggi adulto immergersi nelle acque del fiume Giordano, e santificare così tutte le acque e il cosmo intero – come evidenzia la tradizione orientale. 
Ma perché Gesù, in cui non c’era ombra di peccato, andò a farsi battezzare da Giovanni? 
Perché volle compiere quel gesto di penitenza e conversione, insieme con tante persone che così volevano prepararsi alla venuta del Messia? 
Quel gesto – che segna l’inizio della vita pubblica di Cristo, si pone nella stessa linea dell’Incarnazione, della discesa di Dio dal più alto dei cieli all'abisso degli inferi. Il senso di questo movimento di abbassamento divino si riassume in un’unica parola: amore, che è il nome stesso di Dio. 
Scrive l’apostolo Giovanni: «In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui», e lo ha mandato «come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,9-10). Ecco perché il primo atto pubblico di Gesù fu ricevere il battesimo di Giovanni, il quale, vedendolo arrivare, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). 
Narra l’evangelista Luca che mentre Gesù, ricevuto il battesimo, «stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”» (3,21-22). 
Questo Gesù è il Figlio di Dio che è totalmente immerso nella volontà di amore del Padre. Questo Gesù è Colui che morirà sulla croce e risorgerà per la potenza dello stesso Spirito che ora si posa su di Lui e lo consacra. 
Questo Gesù è l’uomo nuovo che vuole vivere da figlio di Dio, cioè nell'amore; l’uomo che, di fronte al male del mondo, sceglie la via dell’umiltà e della responsabilità, sceglie non di salvare se stesso ma di offrire la propria vita per la verità e la giustizia. Essere cristiani significa vivere così, ma questo genere di vita comporta una rinascita: rinascere dall'alto, da Dio, dalla Grazia. 
Questa rinascita è il Battesimo, che Cristo ha donato alla Chiesa per rigenerare gli uomini a vita nuova. Afferma un antico testo attribuito a sant'Ippolito: «Chi scende con fede in questo lavacro di rigenerazione, rinuncia al diavolo e si schiera con Cristo, rinnega il nemico e riconosce che Cristo è Dio, si spoglia della schiavitù e si riveste dell’adozione filiale» (Discorso sull'Epifania, 10: PG 10, 862). 
Secondo la tradizione, stamani ho avuto la gioia di battezzare un folto gruppo di bambini che sono nati negli ultimi tre o quattro mesi. In questo momento vorrei estendere la mia preghiera e la mia benedizione a tutti i neonati; ma soprattutto invitare tutti a fare memoria del nostro Battesimo, di quella rinascita spirituale che ci ha aperto la via della vita eterna. 
Possa ogni cristiano, in quest’Anno della fede, riscoprire la bellezza di essere rinato dall'alto, dall'amore di Dio, e vivere come figlio di Dio.
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sabato 12 gennaio 2013

Poesia di Natale di G. K. Chesterton

A conclusione del tempo di Natale,ecco una poesia di Chesterton: 

Laggiù una madre senza posa camminava, 
fuori da una locanda ancora a vagare; 
nel paese in cui lei si trovò senza tetto, 
tutti gli uomini sono a casa.

Quella stalla malconcia a due passi, 
fatta di travi instabili e sabbia scivolosa, 
divenne qualcosa di così solido da resistere e reggere 
più delle pietre squadrate dell’impero di Roma. 

Perché tutti gli uomini hanno nostalgia anche quando sono a casa, 
e si sentono forestieri sotto il sole, 
come stranieri appoggiano la testa sul cuscino 
alla fine di ogni giornata. 

Qui combattiamo e ardiamo d’ira, 
abbiamo occasioni, onori e grandi sorprese, 
ma casa nostra è là sotto quel cielo di miracoli 
in cui cominciò la storia di Natale. 

Un bambino in una misera stalla, 
con le bestie a scaldarlo ruminando; 
solo là, dove Lui fu senza un tetto, 
tu ed io siamo a casa. 

Abbiamo mani all'opera e teste capaci, 
ma i nostri cuori si sono persi – molto tempo fa! 
In un luogo che nessuna carta o nave può indicarci 
sotto la volta del cielo. 

Questo mondo è selvaggio come raccontano le favole antiche, 
e anche le cose ovvie sono strane, 
basta la terra e basta l’aria 
per suscitare la nostra meraviglia e le nostre guerre; 

Ma il nostro riposo è lontano quanto il soffio di un drago 
e troviamo pace solo in quelle cose impossibili, 
in quei battiti d’ala fragorosi e fantastici 
che volarono attorno a quella stella incredibile. 

Di notte presso una capanna all'aperto 
giungeranno infine tutti gli uomini, 
in un luogo che è più antico dell’Eden 
e che alto si leva oltre la grandezza di Roma. 

Giungeranno fino alla fine del viaggio di una stella cometa, 
fino a scorgere cose impossibili che tuttavia ci sono, 
fino al luogo dove Dio fu senza un tetto 
e dove tutti gli uomini sono a casa.
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giovedì 10 gennaio 2013

Il genio dei Magi (Contributi 780)

Vi propongo questo articolo di Romano Christen dal sito della Fraternità Sacerdotale San Carlo: 

particolare del reliquiario dei Re Magi nel Duomo di Colonia
Sono contento, anzi fiero di essere in missione a Colonia. È una delle città più antiche d’Europa, fondata da Agrippina, la mamma del terribile imperatore Nerone. Ovviamente non è questo ciò che ha reso la mia città famosa. La sua fama, ancor oggi, è dovuta a ciò che è la meta turistica (dicono le statistiche) più visitata in tutta la Germania: il Duomo. Chissà cosa dicono le guide turistiche giapponesi o cinesi di questa imponente costruzione gotica… Fino a qualche decennio fa era chiaro ad ogni visitatore che esso non era che un grande scrigno costruito per ospitare, al suo interno, ciò che pellegrini da tutta Europa per secoli sono venuti a venerare: uno scrigno vero e proprio, la più grande opera di oreficeria della cristianità, realizzata dal famoso orefice Nicola di Verdun. Perché tante gemme preziose e tanto oro? Perché lungo i secoli ogni re e imperatore del Sacro Romano Impero, non appena incoronato ad Aquisgrana, veniva a venerare questo scrigno? Perché in esso si venerano i tre personaggi che non mancano in nessun presepe: i Re Magi.
Cosa sappiamo di loro? A dire il vero ben poco. O meglio: l’evangelista Matteo ci ha trasmesso l’essenziale. Si trattava di appassionati e indomiti ricercatori di Infinito. Scrutavano gli astri del cosmo per scoprire il segreto dell’universo, ciò che dà senso e direttiva all'agire dei popoli e alla vita di ogni uomo. Il loro genio è stato di alzare lo sguardo per guardare all'orizzonte ultimo – ma, soprattutto, il loro genio è stato nella libertà di mettersi in moto per seguire ciò che avevano riconosciuto come segno: la cometa. Non è mai facile mettere in gioco tutto di sé per seguire un ideale. In questo tendiamo un po’ tutti ad essere codardi. Loro no: hanno intrapreso il lungo cammino e non hanno evitato fatiche e prove.
Ma la loro vera grandezza umana, il loro vero genio religioso, lo hanno testimoniato al loro arrivo a Betlemme. Dinnanzi al bambino nella culla si sono prostrati. Tutta la fatica, tutta la luminosità della cometa solo per un bambino?! Sì. Loro, in quel momento, hanno capito: l’universo, la verità del cosmo, ciò che vale per la vita dei popoli e per la salvezza dell’uomo non è qualcosa, ma questo Uno: l'Immanuel – il Dio fatto uomo per diventare amico delle Sue creature. Loro sono stati i primi a testimoniare questa grande verità: la vera intelligenza non sta nel trovare un principio, una formula, una teoria risolutiva di tutto, ma di giocarsi in questa Presenza, di vivere un rapporto personale con il Logos divenuto carne.
Come il duomo di Colonia rimanda lo sguardo allo scrigno dorato che racchiude al suo interno, così la Chiesa in questo Anno della Fede ci richiama a riporre ogni nostra speranza, l’intelligenza di vita e l’affetto del cuore, in questa Presenza che simbolicamente ammiriamo nei nostri presepi. È solo il rapporto libero con il Bambino d Betlemme che ci dà la statura di persone che vivono liete, certe, con indomita passione e operosità, anche in circostanze difficili.
Ogni anno, nel giorno dell’Epifania, in Germania migliaia di ragazzi vanno a piccoli gruppi di casa in casa: tre di loro sono vestiti da Re Magi, un quarto porta innalzato ad uno stelo una cometa dorata. Bussano ad ogni porta e annunciano cantando la nascita del Salvatore, augurando ad ognuno che Cristo lo benedica nel nuovo anno. Si chiamano, in tedesco, Sternsinger – che letteralmente significa: cantori della cometa. La gente, poi, fa loro dono di dolci (ahimé: sono montagne che si raccolgono in poche ore!) e di un’offerta di soldi da devolvere ad opere di beneficenza per bambini bisognosi in paesi del Terzo Mondo. È un’iniziativa bella che a tutt'oggi, in una società molto secolarizzata, gode ancora di grande stima. Guai a dimenticare o tralasciare una casa!
Anche questo è un segno – piccolo ma reale: chi non desidera l’augurio di un nuovo anno felice? Tutti. Ma chi glielo può dare realmente? Solo chi sperimenta personalmente un rapporto con il Bambino di Betlemme, chi cioè, anche se in modo ancora molto iniziale, ne è amico e testimone. In questo senso siamo anche noi chiamati ad essere dei Sternsinger: testimoni della luce vera, che illumina ogni uomo (e che è ben più folgorante dello scrigno dorato del Duomo di Colonia). Ognuno può, liberamente, accoglierne l’amore e rispondervi affidandosi al Suo sorriso.
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martedì 8 gennaio 2013

Magi, una sfida alla mentalità comune (Contributi 779)

Leggo e riporto questo articolo di Massimo Introvigne da La Bussola: 


«Per la Chiesa credente ed orante - ha detto Benedetto XVI nell'omelia della Messa dell'Epifania - i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia». Questa processione inizia nell'Antico Testamento, e infatti la liturgia del 6 gennaio propone brani di Isaia che «illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme». 
Ma chi sono i Magi? Si tratta di un tema ampiamente sviluppato nel recente libro di Benedetto XVI «L'infanzia di Gesù», che vale la pena di rileggere. I Magi sono astrologi venuti dalla Persia a cercare un misterioso re nato a Betlemme, spinti sia da un fenomeno celeste molto particolare rilevato dagli astronomi da Roma alla lontana Cina - che sta alla base della stella di cui parlano i Vangeli, il che non esclude il suo significato simbolico -, sia da profezie che circolavano in un'area molto vasta e di cui un'eco misteriosa si trova pure nella quarta egloga di Virgilio nelle «Bucoliche», su cui molto rifletterà la cristianità medievale. A proposito di questo episodio il Papa riprende quanto aveva già affermato in un documento del suo Magistero, l'enciclica «Spe salvi» del 2007: l'episodio dei Magi segna la fine dell'astrologia - non, evidentemente, di fatto, posto che mai come oggi tante persone ci credono, ma di diritto - perché a Betlemme è stata la potenza del Bambino a guidare la stella, non viceversa, e ormai gli astri girano intorno al Signore che si è incarnato nella storia. 
L'episodio dei Magi, con la strage degli innocenti - insiste Benedetto XVI -, è storico, anche se la tradizione ha aggiunto particolari extra-biblici, peraltro densi di significato, come le differenti provenienze ed etnie dei Magi, che dovevano rappresentare tutto il mondo conosciuto, e la loro qualità di re - venuti a rendere omaggio al Re del cosmo e della storia - con tanto di corteo reale ricco di cavalli e cammelli. «Gli uomini provenienti dall’Oriente - ripete il Papa nell'omelia del 6 gennaio - personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui». 
Dall'episodio dei Magi nasce una festa che la Chiesa chiama «Epifania», cioè «apparizione» del divino nella storia. «Se guardiamo il fatto - spiega il Pontefice - che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini». 
Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, Benedetto XVI in occasione dell'Epifania ha consacrato quattro nuovi vescovi. «Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo - ha spiegato il Papa - è evidente. Il Vescovo ha il compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri, ma di precedere e di indicare la strada».
I Magi sono un modello per i vescovi, ma anche per tutti noi. «Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole». I Magi cercavano una «realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica. Ma non volevano soltanto sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana». 
Diventare veramente persone umane implica «sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo». I Magi, dunque, erano «ricercatori di Dio», e preferivano questa ricerca alla ricchezze e agli agi umani. Così dovrebbero essere i vescovi. «Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio».
«L'inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo». E la stessa inquietudine, quella dei Magi, dovrebbe incalzare ogni fedele cattolico, che dovrebbe essere pervaso da quel «desiderio di Dio» di cui il Papa ha parlato in diverse udienze del mercoledì del 2012. «Al posto della parola "desiderio" potremmo mettere anche la parola "inquietudine" e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri». 
Per i Magi «ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo». Ma per i Magi, «uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente». 
Anche oggi capiterà che la fede «si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri». La prima dote che si richiede a un vescovo è «il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti», il coraggio di «tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti». Questa sfida difficile vale eminentemente per i vescovi, ma vale per tutti i cattolici. Possiamo chiedere l'aiuto dei Magi, perché «sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano». E San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che «devono risplendere come astri nel mondo». 
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lunedì 7 gennaio 2013

La fede è un fatto (Contributi 778)

Leggo e riporto questo articolo di Giovanni Fighera da La Bussola 

La fede nasce da un incontro, attraverso la testimonianza di un uomo che con tutta la sua umanità, pur imperfetta, rende visibile l’eccezionalità di Cristo, unica risposta all'umana domanda di pienezza e di felicità. Per questo la fede è il riconoscimento di un fatto già presente. 
La vita stessa di Manzoni è la dimostrazione di questo. Dopo aver studiato dai Padri Barnabiti e Somaschi, Manzoni si forma una cultura illuministica moderna, all'insegna dei filosofi e letterati francesi, e si allontana sempre più dalla chiesa cattolica e dalla fede. L’incontro prima con Enrichetta Blondel, che sposerà sia civilmente che con rito calvinista l’8 febbraio del 1808, e poi con il padre spirituale Eustachio Degola lo porterà ad un cammino di fede e alla conversione al cattolicesimo, di cui la celebrazione del matrimonio per la seconda volta, ora con rito cattolico, il 15 febbraio del 1810, potrebbe già essere un chiaro segno. Manzoni sarà sempre refrattario a parlare della sua conversione. L’aneddotica riduce questo cammino lungo, durato qualche anno, al celebre episodio accaduto nella chiesa di San Rocco a Parigi. Durante il matrimonio di Napoleone (2 aprile del 1810) la moglie sviene, Manzoni si perde e in una crisi di agorafobia si rifugia in chiesa a pregare. Ne esce convertito e ritrova la moglie. 
Ermes Visconti, uno degli amici più intimi di Manzoni, comprende che il cammino di fede di Alessandro è adombrato nella vicenda centrale dei Promessi sposi, la conversione dell’Innominato. Nel ventunesimo capitolo Lucia, di fronte al più grande dei cattivi, ha un’autorità che non proviene da Lei. «Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia». Questa frase, proferita con un filo di voce all'Innominato, lo cambia. La giovane paesana vive questa circostanza avendo negli occhi la presenza di Gesù, che è la presenza del volto della madre Agnese, di Renzo, di fra Cristoforo, della Madonna che lei invoca. E dai quei volti passa la Provvidenza. Infatti Lucia è la più debole, ma vince l’Innominato. Questi, infatti, dopo una nottata turbata dal pensiero del suicidio, deciderà di seguire le voci che provengono da un vicino pellegrinaggio verso il cardinal Federigo. Qui l’Innominato sarà abbracciato in tutta la sua cattiveria e i suoi limiti. E capisce che la liberazione di Lucia è la prima possibilità del suo personale cambiamento. 
È così che si muove la Provvidenza. Nel caso dell’Innominato, le sue riflessioni non smorzano la disperazione, anzi la acuiscono. Finché non gli torna in mente un volto, quello di Lucia, della carcerata incontrata quel medesimo giorno e che ha pronunciato una frase che, ora, sola sembra dare un po’ di refrigerio all'arsura del suo deserto, o, forse meglio, già Inferno in terra: «Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia». Quelle parole sembrano emesse non già con una voce flebile, timida e impaurita, ma con un’autorevolezza di chi «dispensa grazie e consolazione», l’autorevolezza di chi ha qualcosa da dire alla nostra vita e ci può dare una via di salvezza. Il suo pensiero va all'incarcerata che lui, senza motivo, sta facendo soffrire e lei gli appare come una liberatrice. Intanto in quella notte gli istanti passano come se fossero ore interminabili, che gravano sulla fatica dell’esistenza, fintanto che non sopraggiunge l’alba e con quella anche voci confuse di gioia, che annunciano un senso di allegria comune. Preso da un sentimento misto di invidia (per un’allegria che scorge dagli accenti e dal volto altrui, ben lungi dalla cupa disperazione che si è impadronita di lui) e di speranza che qualche parola di conforto possa esserci anche per lui, l’Innominato invia qualche bravo ad informarsi sulle ragioni di quel «pellegrinaggio» concorde e lieto. L’Innominato si affaccia alla finestra per guardare, come attratto da una letizia inusuale e che non sembrerebbe appartenere a questo mondo, da un’allegra baldanza che non risponde ai criteri puramente umani. Guarda e gli cresce «in cuore una più che curiosità di saper cosa mai» possa «comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa». Si va dietro, quando si è autentici, veri con se stessi, ad una letizia che ci colpisce e a noi sconosciuta per vedere dove stia di casa, dove abiti, come i primi due apostoli, incontrato Gesù, gli chiedono: «Maestro, dove abiti?». Così, anche il ribaldo segue quel popolo in cammino, concorde e lieto, che tanto ricorda la comunione delle anime nella salita delle balze del Purgatorio dantesco. 
Giunge, in tal modo, al paese e alla casa dove è ospitato il cardinale Federigo. E qui avviene l’incontro, insperato, imprevisto, gratuito. «Appena introdotto l’Innominato, Federigo gli andò incontro, con un volto premuroso e sereno, e con le braccia aperte, come a una persona desiderata». Tra i due grandi, posti l’uno di fronte all'altro, domina all'inizio un silenzio foriero di attenzione e rispetto che prelude ad un colloquio di sguardi. L’Innominato si sente straziato da due sentimenti opposti: la speranza «di trovare un refrigerio al tormento interno» e la vergogna di «venir lì come un miserabile, come un sottomesso, come un miserabile, a confessarsi in colpa, a implorare un uomo». L’uomo vecchio (dominato dall'orgoglio, dalla presunzione, dall'istinto a prevaricare sugli altri) è duro a morire. È come se ci fosse una lotta tra l’uomo nuovo insorgente e l’uomo vecchio. Così, invece, appare al lettore il Cardinale, la cui presenza è di quelle «che annunziano una superiorità e la fanno amare: … tutte le forme del volto indicavano che in altre età, c’era stata quella che più propriamente si chiama bellezza». 
È lui che inizia a parlare, dopo un lungo intervallo di silenzio, manifestando la propria gioia per quella visita imprevista e, nel contempo, proclamando il proprio rimorso per non essersi mosso lui prima alla ricerca di quella pecorella smarrita e destando, così, lo stupore dell’interlocutore che si chiede se il Cardinale abbia davvero capito la sua identità. L’uomo di fede allora pronuncia parole che rispondono anticipatamente alle domande dell’Innominato. «Dio sa fare Egli solo maraviglie, e supplisce alla debolezza, alla lentezza dei suoi poveri servi…». E ancora: «Voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?». Il Cardinale sa leggere il cuore dell’interlocutore meglio di quanto sappia fare quegli e così gli spiega che la novità è che Dio gli ha toccato il cuore. A quel nome l’Innominato sobbalza come quando Lucia l’ha pronunciato, ma questa volta, invece che all'imprecazione, le sue parole sono mosse al tono della preghiera e del desiderio dell’epifania: «Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov'è questo Dio?». 
Allora il Cardinale incalza: «Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’imploriate?». L’Innominato allora si chiede che cosa Dio possa volere da lui, che cosa ne possa ricavare. Prontamente il sant'uomo risponde che Dio può ricavare dalla conversione di quell'uomo una gloria che nessun altro Gli potrebbe dare: il cambiamento del cuore dell’uomo, la conversione, è il più grande miracolo che esista in terra; la salvezza di un uomo che fino ad allora ha operato solo per sé è segno della misericordia, della grandezza e della bontà dell’Onnipotente. 
Se l’Innominato ha compiuto cose grandi nel male, ancor più Dio può far a lui operare azioni ben più gloriose nel bene. Il Cardinale è grato al Signore per avere assistito ad un tal segno ed esclamando «Dio grande e buono!» stende la mano verso quella dell’interlocutore che, in un primo tempo, rifiuta, preso com'è dal proprio male e dal proprio essere indegno. Ma l’Innominato è proprio come la pecorella smarrita di evangelica memoria, che il buon pastore vuole ricondurre all'ovile, mentre le altre novantanove sono al sicuro. Abbracciato dal Cardinale, ricambia l’abbraccio affettuoso; la sua ritrosia è vinta dall'ardore della carità. Esclama così: «Dio veramente grande! Dio veramente buono! io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure…! eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita!». 
Solo nell'incontro con qualcuno che ci abbraccia così come siamo, possiamo anche noi abbracciarci e così conoscerci, solo nell'incontro con Dio, padre amoroso, incominciamo a capirci. È esperienza per noi di tutti i giorni: solo in un affetto si conosce veramente! Solo nell'incontro con Cristo l’uomo prende reale consapevolezza della natura del proprio cuore che riprende a vivere di nuova vita, quella che è la sua, naturale, risvegliata in tutta la portata delle esigenze di felicità, di giustizia, di amore, di bene. Nell'incontro con Cristo è ridestato e, per così dire, potenziato il senso religioso dell’uomo.
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